Riceviamo una nota stampa delle Officine Tarantine che pubblichiamo integralmente.
Ci teniamo a rendere pubblico quanto sta accadendo negli ultimi tempi, dopo che per mesi l’azione di delegittimazione effettuata nei confronti di esponenti ed attivisti sembrava essersi interrotta. Sono giunte nelle abitazioni di alcuni nostri compagni decreti penali di condanna, e citazioni a giudizio, emanati dalla magistratura di Taranto su indicazione degli agenti PS Digos, riguardanti le ultime mobilitazioni messe in campo.
La prima riguarda l’insediamento del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e della sua giunta nella nostra città, nel giorno in cui la piazza esterna al Palazzo della Prefettura era presidiata da istanze ed organizzazioni diverse (associazioni, sindacati e movimenti), si emanano condanne preventive al pagamento di ingenti multe (in sostituzione della pena detentiva) per alcuni compagni che, insieme alle tante organizzazioni, si resero portavoce di alcune istanze territoriali.
L’accusa è quella di manifestazione non autorizzata, un paradosso procedurale che sa di strategia repressiva ben premeditata: da un lato una piazza esterna presieduta da varie realtà sindacali, politiche ed associative, dall’altro una azione repressiva soltanto per alcuni, guarda caso “i soli” tra i pochi i cittadini che dentro l’assise regionale hanno provato a riportare il dramma sociale ed ambientale della città di Taranto nella realtà dei suoi fatti. Qualche giorno fa, invece, è accaduto il fatto più clamoroso, sempre a carico di un appartenente al collettivo “Officine Tarantine”: arriva una citazione a giudizio da parte del condannato a 10 mesi di reclusione con pena sospesa Don Marco Gerardo.
Il parroco della chiesa del Carmine cita a giudizio un nostro esponente, imputandolo di avergli recato offese pubblicamente nel ripetere alcune frasi lette e rilette su vari quotidiani (presenti anche nel processo AMBIENTE SVENDUTO). A quanto pare quelle parole hanno fatto infuriare il condannato della curia Tarantina, che dopo essersi messo al servizio della ragnatela che Archinà tesseva, cerca, citando un appartenente alla società civile a giudizio , di tirarsene fuori moralmente. Resta il fatto che con questa citazione il parroco chiede un risarcimento danni. Nonostante queste procedure mirate, atte a tentare di distruggere percorsi di lotta autonomi che ad oggi contano più di 50 persone denunciate con diversi processi in atto, ci sono diverse riflessioni da fare.
La prima considerazione riguarda la curia tarantina, che ancora nonostante una condanna a 10 mesi di reclusione nei confronti di Don Marco Gerardo, non ha preso nessun tipo di provvedimento nei confronti del parroco della chiesa del Carmine di Taranto, anzi a maggior ragione lo stesso, con questa azione diffamatoria (a nostro avviso) conferma la sua poca fede nella giustizia. Con questo coivolgimento processuale lontano dalle logiche di qualsiasi pastore, il parroco del Carmine è un altro esempio lampante di come alcuni membri della comunità ecclesiastica tarantina professano nonostante le loro azioni siano molto lontane dalla fede stessa.
Altra considerazione riguarda la macchina della repressione messa in atto da magistratura e polizia negli ultimi anni. Le istituzioni continuano imperterrite a reprimere attraverso denunce e decreti penali di condanna la voglia di riscatto e le idee che molti ragazzi di questa dannata città esprimono attraverso percorsi autonomi e spontanei. Percorsi giovani che con coraggio, dal basso, rimarcano l’appartenenza ad un territorio sfruttato e depredato, lottando costantemente per la libertà di poter scegliere un futuro diverso dall’emigrazione, dalle grandi industrie, e dallo sfruttamento.
Ci troviamo dopo diversi anni TUTTI/E CONDANNATI a giudizio, per aver espresso le nostre necessità, per aver alzato con fierezza la testa, contrastando chi dall’alto cala ogni giorno scelte infamanti sulle nostre vite, costringendoci a vivere in questo ”stato“, imponendo a tutti noi, alla comunità tarantina, di chinare la testa costantemente e ad accettare una situazione sociale e ambientale disastrosa alla quale siamo sottoposti da decenni. Queste denunce non fermeranno il nostro cammino, vivere qui significa anche non avere paura del presente, del futuro e della repressione, TARANTO LIBERA.
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