Taranto: una città senza regia che merita coesione e chiarezza
TARANTO – Denunce alla Procura per inquinamento dei terreni e della falda, mozioni in Consiglio comunale, dossier depositati a livello di Commissioni europee, interessamento della Corte di Strasburgo, appelli dei pediatri per il rischio salute dei bambini, analisi sull’incidenza di patologie e tumori nella popolazione, testimonianze fotografiche sulle emissioni non convogliate: potremmo continuare ancora per molto nell’elencare le tantissime iniziative di lotta alla grande industria.
Tutte queste valide e lodevolissime, a firma dei tanti paladini della questione Taranto che ormai ha coinvolto non solo ecologisti della prima ora, ma anche chi guarda al cambiamento delle politiche e dei programmi della nostra città come una possibilità di sviluppo economico e culturale che prescinde dalla salvaguardia ambientale. Tutte, però, iniziative isolate, non organiche ad un progetto unico per Taranto.
È la vera, grande debolezza delle forze progressiste e anti sistema; la mancanza cioè di una regia che coordini l’azione dei singoli protagonisti della lotta, delle associazioni, dei partiti che esprimono programmi di sviluppo alternativo, sganciato da un’economia basata essenzialmente sulla produzione industriale.
Una colonia di formiche impazzite non riuscirebbe a trasportare un grosso calabrone se ogni membro di essa tirasse o spingesse l’insetto senza coordinarsi con i propri simili: è questo un paragone improprio che rende però l’idea dell’individualismo esasperato delle singole entità protagoniste della lotta alla grande industria.
La frammentazione delle tante iniziative di lotta e di denuncia contro i danni provocati dalla grande industria e la storica incomunicabilità dei leader di riferimento dei movimenti che si battono per l’attuazione di politiche alternative alla cosiddetta monocultura dell’acciaio raramente hanno trovato soluzione.
Solo la protesta, concretizzatasi sotto forma di cortei che hanno in più occasioni attraversato la città, ha avuto funzione unificante. I protagonismi e gli individualismi si sono, in queste occasioni, fusi in un unico grido che esprimeva rabbia ed esigeva attenzione, ma la protesta non è sfociata nell’esigenza di creazione di un progetto comune per la città.
In una occasione soltanto, nelle elezioni amministrative del 2012, la gran parte delle varie anime della battaglia ambientalista e culturale aveva avuto forza e capacità di convergere intorno alla figura di Angelo Bonelli in maniera organizzata in un movimento unico con un programma condiviso che comprendeva la denuncia dello status quo e una proposta di cambiamento per Taranto.
La lotta civica divenne quindi lotta politica con tutti i pro e i contro che il passaggio comportò. La questione industriale divenne da allora centrale nei programmi dei partiti e dei movimenti. L’Ilva è un gigante troppo grande, seppur in crisi di identità e pieno di debiti, per essere abbattuto senza la volontà della politica.
Sicuramente ciò non avverrà per decisione governativa: troppi gli interessi strategici e troppo complicata la situazione debitoria di Ilva per incoraggiare una tale scelta. E neanche le singole iniziative, denunce, proteste porteranno a clamorose decisioni. Dieci decreti sono la prova evidente che da Roma la difesa della grande industria è d’acciaio…
Potrà farcela allora la politica locale a determinare la svolta? Difficile, anche ipotizzando la vittoria di un sindaco favorevole alla chiusura, ma non impossibile. Pretendermo, però, programmi certi e chiari dalle forze politiche che si candideranno ad amministrare la città.
La questione ambientale, la riconversione economica, sono aspetti centrali che richiedono un patto d’onore tra eletti ed elettori. Mezze soluzioni, ambiguità, compromessi non possono essere ammessi. Chiusura sì o chiusura no e, nel primo caso, piano alternativo per la salvaguardia dell’occupazione: questo vogliamo che venga esplicitato da chi si proporrà per governare Taranto.