Da Marcella a Giovanni: le storie di una generazione senza futuro

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TARANTO – Da due anni ormai Marcella è stabilmente una precaria. Ha ventisei anni e lavora a Taranto in un call center con contratti brevi rinnovati di volta in volta per qualche mese. Guadagna, quando va bene, seicento euro al mese per quattro ore giornaliere e guarda con un pizzico di invidia i suoi colleghi assunti a tempo indeterminato che si occupano di attività INBOUND che consiste nel dare assistenza telefonica per conto di alcune aziende commerciali ai clienti che chiamano per problemi vari.

Marcella invece si occupa di attività OUTBOUND: il suo lavoro consiste nel chiamare liste di utenti telefonici per proporre offerte e contratti con aziende nel settore dei servizi energetici. Marcella spera prima o poi di essere assunta con un contratto vero che le garantisca ferie, riposi, malattia e indennità di maternità. È in gamba nel suo lavoro, almeno così ella pensa e questo forse potrebbe favorirla se l’azienda dovesse decidere di assumere stabilmente qualche altro dipendente.

A dir la verità di giovani in gamba che lavorano insieme a lei ce ne sono tanti. Questi sono per lo più laureati, qualcuno anche col master e una buona conoscenza dell’inglese, dettagli che fanno curriculum ed aiutano a mantenere l’autostima e la speranza di una crescita professionale. Tra i giovani che escono a fine turno c’è anche qualcuno più avanti negli anni, perfino cinquantenne, spesso con una storia lavorativa e una vita alle spalle piuttosto complicata e difficile.

L’umore nelle enormi sale del call center è tutto sommato buono, malgrado qualche screzio con i capi spesso troppo zelanti e pretenziosi: la gran parte dei giovani che vi lavorano si ritiene fortunata rispetto ai propri coetanei disoccupati a spasso con laurea o diploma in tasca e alla vana ricerca di un impiego. Marcella è fidanzata con Giacomo, un coetaneo laureato in giurisprudenza che vorrebbe diventare avvocato: per ora fa pratica in uno studio abbastanza prestigioso insieme ad altri sette collaboratori.

La gavetta è lunga, passa dal fare fotocopie, dalla ricerca di fascicoli in procura, dalla richiesta di rinvio di qualche udienza. Di compenso neanche se ne parla, ma questa è la regola per i praticanti. Giacomo sogna di superare l’esame e aprire un suo studio legale e questo lo sostiene, anche se il percorso sarà lungo e sarà necessario tanto impegno e fortuna per realizzare il progetto.

Marcella paga sempre il cinema a Giacomo e anche la pizza un paio di volte al mese. Giacomo se ne vergogna un po’ e ogni volta dice “metti sul conto” e questo fa sorridere sempre la sua ragazza che fa finta di prendere nota. Sandra invece il suo sogno l’ha concretizzato. Finalmente è stata assunta, dopo un lungo periodo di apprendistato, con un contratto a tempo indeterminato in un negozio di abbigliamento di un centro commerciale. Guadagna circa 1.000 euro al mese per 40 ore settimanali.

Una settimana si ed una no è impegnata di domenica e spesso anche negli altri giorni festivi: il centro commerciale ormai è quasi sempre aperto, tranne che di notte. Parte del suo guadagno serve per pagare Mary, la baby sitter che si occupa della sua bimba di quattro anni durante le ore non coperte dalla scuola materna. Mary lavora in nero, ha ventotto anni e non è mai riuscita ad ottenere un lavoro regolare.

Ormai pensa che non valga neanche la pena cercarlo: i contributi versati non le permetterebbero comunque di raggiungere una pensione dignitosa e quindi tanto vale continuare così. E alla pensione Stefano proprio non ci pensa: ha trentasei anni e un diploma da perito industriale mai sfruttato. Dopo la morte per cancro del padre, operaio di una grande industria, si è rimboccato le maniche e ha cominciato a lavorare come cameriere in un ristorante ma senza contratto. Viene pagato in parte con voucher e in parte in nero e nessuna prospettiva di miglioramento.  Per fortuna qualche mancia incrementa le entrate e lui non si lamenta troppo della sua condizione.

Sarebbero tantissime le storie ancora da raccontare, come quella di Michele, il benzinaio con tre figli il cui contratto è stato trasformato in part time perché ormai vanno di moda i self service, oppure quella di Lina che vive vendendo giornali all’angolo dei semafori per pochi euro al giorno, oppure di Giovanni che ha ormai quarant’anni e senza alcun contratto continua a fare il “ragazzo del bar”. E poi vi sarebbero le storie di chi il lavoro proprio non è mai riuscito a trovarlo o a crearselo. Ora neanche più lo cerca e vive completamente a spese dei genitori con l’angoscia del tempo che passa.

Siamo ormai al 40% di disoccupazione giovanile in Italia, con una punta addirittura del 60% nella nostra città. Lavoro precario, occasionale, interinale, sottopagato sono ormai la regola. Una generazione senza certezze quella dei giovani d’oggi. Lì dove non vi è la strada spianata dalla posizione sociale, spesso neanche la preparazione e la buona volontà sono sufficienti a trovare una soddisfacente sistemazione lavorativa.

Diritti pochi, ridotti all’osso rispetto a quelli dei propri genitori. Ormai viviamo nell’era del jobs act e dei voucher, in cui nessuno può dirsi certo di iniziare e concludere la propria vita lavorativa con lo stesso impiego. Non siamo ancora tornati al tempo in cui il padrone sceglieva chi impiegare a servizio e indicando chiamava “tu, tu e tu” e tutti pregavano di essere tra i fortunati che quel giorno avrebbero guadagnato qualcosa, ma di certo la condizione di chi si affaccia al mondo del lavoro sta velocemente peggiorando. E per una società non vi è cosa più deleteria della perdita di fiducia per il futuro da parte dei giovani che dovrebbero esserne il cuore pulsante e che invece subiscono sempre più una marginalizzazione lavorativa che pian piano consuma la speranza collettiva.

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