«Taranto è una città sequestrata dallo Stato italiano che protegge una industria fortemente inquinante e in perdita. L’Ilva è un’azienda che si regge sul malessere e sul “male essere” di un’intera comunità. Il dipendente che denuncia il malessere vissuto da tutti viene minacciato dai suoi stessi colleghi, in barba alla più elementare regola di solidarietà della classe operaia».
E’ quanto si legge in un comunicato di Genitori Tarantini.
«Le scritte apparse sugli armadietti parlano chiaro – è scritto – ci illustrano il pensiero di uomini striscianti, ci dicono “Non mi importa di morire, non mi interessa che fine farà la mia famiglia. Io devo mangiare! Se ti metti in mezzo, devi morire!”. L’operaio che denuncia condizioni di lavoro da terzo mondo viene minacciato dai suoi stessi colleghi, come lo schiavo che si ribella e viene soppresso dagli altri schiavi. Per fortuna, in molti si stanno ribellando, all’interno della fabbrica assassina: persone che hanno pianto la morte di colleghi, amici, parenti e che hanno trasformato in rabbia le lacrime. Non è più il tempo dello schiavismo. Non è più il tempo della “morte tua, vita mia!”. Ora è il tempo della solidarietà e del rispetto dei diritti. I Genitori tarantini sono vicini a tutti gli operai che pretendono il rispetto delle leggi».
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