Spartan Race: il primo traguardo di una Taranto che deve risollevarsi

TARANTO – Oltre 4.000 atleti partecipanti e almeno 10.000 visitatori in giro per la città: sono questi i numeri che rendono speciale la Spartan Race tarantina.  Marco De Bartolomeo e gli altri referenti dell’associazione  “Taranto, la città Spartana” hanno centrato un obiettivo ambizioso – portare a Taranto la più grande gara ad ostacoli del mondo – e sono già pronti a programmare la prossima edizione. Qualcosa, però, dovrà cambiare. L’evento dovrà essere gestito solo da chi davvero ne comprende le potenzialità. Ne abbiamo parlato con lo stesso De Bartolomeo in un’intervista che fa il bilancio dei due giorni di gara al Parco Cimino e di tutto il resto.

Marco, qual è il tuo stato d’animo ora che l’evento si è concluso?

«Provo tanta gioia perché la città ha incominciato a mettere a fuoco il sentimento che anima il progetto “Taranto, la città Spartana” e soprattutto mi è piaciuto come Taranto è stata narrata da coloro che venivano da fuori. Gli atleti sentivano di tornare a casa, in una città “benedetta”. Hanno funzionato, quindi, sia la narrazione che la fidelizzazione. Sono elementi molto importanti per far sì che un brand diventi davvero forte. Pensiamo a ciò che accade a Venezia. I turisti non ci vanno per vedere un monumento in particolare, ma perché quella città ha un’aurea di romanticismo che la rende attraente. Sono processi che si costruiscono in anni, se non addirittura in secoli. Noi abbiamo beneficiato di una narrazione forte che ha mitigato la precarietà esistente sul fronte ricettivo nel nostro territorio».

Torniamo allo scorso 9 settembre. A meno di due mesi dall’inizio della Spartan Race,  durante una conferenza stampa con Dante Roberto e Claudia Carone, avete lanciato un’accusa forte al Comune: la mancanza di governance rischia di far trovare Taranto impreparata rispetto ad un evento di portata internazionale. Quella provocazione è servita a qualcosa?

«Io spero che questa edizione sia da stimolo per fare meglio nelle prossime. Non si può affrontare un evento del genere con uno spirito da peracottari. L’organizzazione a livello locale deve partire almeno un anno prima, non negli ultimi quindici giorni. Quella conferenza stampa andava fatta. Anni di lavoro e sacrifici rischiavano di essere vanificati da chi è talmente arrogante da non voler essere nemmeno aiutato».

L’Amministrazione comunale ha promosso degli eventi collaterali. Che idea ti sei fatto?

«Innanzitutto per organizzare questi eventi devi conoscere bene lo spirito della Spartan Race altrimenti rischi di promuovere solo un potpourri di iniziative. Teniamo presente che gli atleti, dopo chilometri di gare ad ostacoli, soffrono di crampi e di altri problemi. Quando alle 17 tornano in albergo non sentono più neanche le gambe. Al massimo, la sera si concedono una cena. Gli eventi collaterali andavano pensati tenendo conto anche delle loro esigenze. E poi bisognava calarli in una città tirata a festa, creare l’atmosfera giusta anche attraverso i media e i social network».

Cosa andava fatto in città per stimolare un maggiore interesse?

«Già da un mese prima dovevano apparire bandiere, totem, adesivi. Non possiamo limitarci a dei manifesti che sembrano fatti per la parrocchia. Bisognava stimolare grandi aspettative ed accogliere gli atleti con uno spirito di comunità. Più che dividerli tra diversi locali e ristoranti, sarebbe stato meglio organizzare una grande tavolata in stile Oktoberfest proprio per favorire l’aggregazione. D’altronde gli atleti sono i primi a coltivare il senso di comunità. Ieri, un atleta di Livorno ha detto di essere rimasto colpito dall’accoglienza di un tarantino, anche lui in gara, che lo ha ospitato a casa sua. Durante la corsa, il tarantino è stato colpito da un infortunio ma è rimasto ad incitare il compagno di Livorno fino al traguardo. “Questa medaglia non è mia, è tua”, gli ha detto il livornese consegnandoli la medaglia dopo essere stato premiato. Questo gesto di solidarietà deve essere recepito anche da Taranto. Lo devono capire anche quei ristoratori poco lungimiranti che invece di rispettare i turisti se ne approfittano perpetrando delle vere e proprie rapine. Lo speaker della gara ha più volte denunciato un episodio che ha visto come protagonista un ristorante del centro».

Cosa rappresenta per Taranto la Spartan Race e quali prospettive offre il progetto “Taranto, la città spartana? Diciamolo pure a chi – in questi giorni – ha preferito denigrare la manifestazione invece di apprezzare lo sforzo messo in campo.

«Quelli che criticano mi fanno tristezza. Davvero tanta. Noi proponiamo un filo narrativo studiato per una città che cerca di riprendersi e tirarsi su. Non bisogna pensare solo ai 10.000 visitatori giunti in città ma anche ai 2 milioni di contatti registrati dalla pagina Facebook della Spartan Race lo scorso 29 ottobre. Si tratta di un feedback straordinario. Senza dimenticare i video e le immagini che da Taranto sono arrivati ovunque. Ma sono tante le cose che si possono fare per far crescere la città: una fiera internazionale legata al marchio “Spartan” (sono almeno 3.000 i soggetti da coinvolgere a livello mondiale: dalle università alle attività produttive), una regata Taranto-Sparta che preveda anche concerti; un Museo virtuale dei Riti della Settimana Santa; un Museo del Volo legato ad Archita (inventore di una colomba meccanica capace di volare) che consenta un viaggio fantastico nella storia del volo umano: dai primi tentativi fino ai satelliti. C’è anche un satellite della Nasa che si chiama Spartan. Pensate quanto sarebbe bello un padiglione col nome di Archita».

Le parole di Marco De Bartolomeo inducono a sognare ad occhi aperti e a pensare in grande. Lasciano intravedere una Taranto libera dalle catene della monocoltura dell’acciaio e in grado, finalmente, di spiccare il volo. La strada da percorrere è ancora lunga. Ne è consapevole anche lui. Ma Taranto non ha più tempo da perdere. Se non individua subito un altro obiettivo da aggiungere a quello appena raggiunto, non cambierà mai. A vincere saranno gli indolenti e i disfattisti di professione. E il cambiamento sarà inevitabile anche per la prossima edizione della Spartan Race. I peracottari, a quanto pare, dovranno tenersi lontano.

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