Perché le diete falliscono? La risposta è nella mente
La maggior parte dei pazienti che si recando in visita da un nutrizionista al fine di ottenere un calo ponderale, non di rado asseriscono di “essere a dieta da una vita” e di “averle provate tutte” senza successi duraturi. Ebbene, perché le diete non funzionano? Perché dopo essersi sottoposti a un regime alimentare ipocalorico, dopo qualche tempo, ci si ritrova a guadagnare spesso e volentieri più chili di quelli precedentemente persi?
Partiamo, innanzi tutto, da quello che è il VERO significato della parola “dieta”. Deriva dal greco “diaita” che significa “modo di vivere”, “stile di vita”. L’accezione comune della parola è invece piuttosto quella di ”regime alimentare restrittivo”, “fare la fame”. Nel mio lavoro, cerco di trasmettere quelle che sono abitudini alimentari corrette in grado di curare e prevenire patologie croniche come diabete, malattie cardiovascolari e tumori. Poiché l’alimentazione è uno strumento molto potente a tal fine, sono molto dispiaciuta quando, raggiunti gli obiettivi prefissati con i pazienti, alcuni di loro mi dicono “adesso posso tornare a mangiare normalmente?”.
Ecco il motivo per cui le diete non funzionano: vengono prese come rimedi temporanei atti semplicemente a diminuire un peso al di sopra della norma. Solitamente uso questa metafora con i miei pazienti: dimenticare l’educazione alimentare acquisita durante il percorso insieme, è come uno scolaro che una volta giunta l’estate, dimentica di avere imparato a leggere e scrivere visto che non va più a scuola e torna analfabeta.
Purtroppo il mero calo ponderale è l’obiettivo di molte delle diete in voga, specie quelle che si avvalgono di pasti sostitutivi in forma di “beveroni” e shake vari ed eventuali. Sono queste regimi alimentari improponibili come abitudine e stile di vita, che non forniscono un modello di corretta condotta a tavola. Esse sono in grado di far maturare nei soggetti che le attuano il desiderio irrefrenabile degli alimenti che tali regimi vietano.
Più una persona assume un atteggiamento rigido e di divieto assoluto nei confronti dei cibi che desidera, tanto maggiore saranno voglia, forza e frequenza con cui ci si ritroverà a trasgredire. E ciò equivale a riprendere i chili persi, specie quando si smette di sottoporsi al controllo periodico dal nutrizionista. E’ provato, ed è anche di mio abituale riscontro, che una volta entrati nel vortice della trasgressione, difficilmente si riesce a dire “basta” perché infrangere la dieta, o anche il solo credere di averlo fatto, pare sufficiente per perdere l’autocontrollo.
Ciò comporta frustrazione e l’abbandono definitivo della dieta per ritornare, più avanti, alla carica con una nuova dieta dimagrante, spesso e volentieri da un altro nutrizionista perché tornare dal precedente desta vergogna. Le ripercussioni di tale copione fallimentare noto come effetto yo-yo, sono anche e soprattutto a livello di autostima (“sono una persona debole”, “sono incapace a raggiungere i miei obiettivi”).
Come destreggiarsi allora, nella giungla delle diete, come sceglierle e come fare per mantenere gli obiettivi raggiunti? Cosa permette a una dieta di funzionare? Innanzitutto, sembra banale, ma bisogna essere predisposti mentalmente al cambiamento. Non basta rendersi conto di non entrare più nei soliti vestiti o essere spaventati dal medico sui rischi che possono scaturire da un eccesso ponderale accompagnato da esami ematochimici fuori norma. BISOGNA VOLER CAMBIARE. E bisogna accettare che un calo ponderale qualitativamente valido e duraturo non può arrivare in poco tempo.
La trasgressione dalla dieta, purchè limitata a circostanze episodiche, se può aiutare a “rifocillare” voglia e animo per proseguire sulla strada, ben venga! Non è certamente l’assaggio di un cibo diverso o una cena con gli amici o un dolcetto (ribadisco, limitato a una tantum!) a vanificare l’impegno e la costanza di mesi.
In questo senso il percorso del cambiamento che porta al calo ponderale dovrebbe attraversare delle tappe. Certamente molto può fare entrare in un rapporto di empatia con il nutrizionista da cui si è seguiti. Questo può essere un potente motivatore. Ma il 95% del lavoro lo deve fare la persona che decide di perseguire l’obiettivo. Perché no, dal momento che alla base della buona riuscita del percorso vi è la mente, si può valutare di farsi sostenere dal punto di vista psicologico da uno psicologo, che avrebbe il ruolo di tirare fuori le risorse interne del paziente, spesso nascoste a lui stesso. La strategia che permetterà alle diete di funzionare una volta per tutte, sarà argomento del prossimo articolo.
Dietista nel team dell’ambulatorio di Nutrizione Clinica, I.R.C.C.S. De Bellis, Castellana G. (Ba).
Biologa nutrizionista, libero professionista, Taranto.