In Italia sempre più poveri: l’implacabile rapporto della Caritas

L’Italia che riparte è solo nella visione da mulino bianco idealizzata dal premier Matteo Renzi. La verità dei fatti è un’altra: c’è un’Italia che riparte, ma per andare via dai confini nazionali, in cerca di fortuna e soprattutto di diritti ormai negati nel nostro Paese; e poi c’è un’Italia che arranca e affonda nella miseria come emerge dal Rapporto 2016 di Caritas Italiana su povertà ed esclusione sociale dal titolo “Vasi comunicanti”. 

Una lettura delle statistiche pubbliche

In Italia – secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat – vivono in uno stato di povertà assoluta 1 milione 582 mila famiglie, un totale di 4 milioni 598 mila individui (anno 2015). Si tratta del numero più alto dal 2005 ad oggi. E si tratta, parlando di povertà assoluta, della forma più grave di indigenza, quella di chi non riesce ad accedere a quel paniere di beni e servizi necessari per una vita dignitosa.

Dal 2007, anno che anticipa lo scoppio della crisi economica (che continua a palesare ancora i propri effetti), la percentuale di persone povere è più che raddoppiata, passando dal 3,1% al 7,6%. Come mostra il grafico 1, la crescita è stata continua, con l’unica eccezione registrata nel 2014, illusoria rispetto a un’inversione di tendenza A livello territoriale, oggi come in passato, è ancora il Mezzogiorno a vivere la situazione più difficile; in queste aree si registra, infatti, l’incidenza più alta misurata sia sugli individui (10,0%) che sulle famiglie (9,1%).

E, proprio al Sud, dove vive il 34,4% dei residenti d’Italia, si concentra il 45,3% dei poveri di tutta la nazione. Puntuale, anche nel 2015, è stato il monito della Svimez (l’Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno) che, con il consueto rapporto annuale, ha richiamato l’attenzione sullo stato di criticità in cui versano queste regioni, penalizzate soprattutto dal lavoro.

Dal 2008 ad oggi, nel Meridione, sono andati persi 576mila posti di lavoro, pari al 70% delle perdite di tutta Italia; i livelli occupazionali risultano i più bassi registrati dal 1977 (5,8 milioni unità). Nel corso del tempo, tuttavia, anche le aree del Centro e del Nord hanno vissuto un vistoso peggioramento dei propri livelli di benessere, in modo particolare se paragonati agli anni antecedenti la crisi economica. In soli otto anni anche queste zone hanno visto raddoppiata la percentuale di poveri (tab. 1).

 

 

 

Spostando l’attenzione dagli indicatori che quantificano il fenomeno a quelli che ne descrivono più nel dettaglio le peculiarità, si nota come oggi la povertà sembra sempre più discostarsi da quel “modello italiano” (Morlicchio 2012) che ha caratterizzato il nostro paese per diversi decenni. Una povertà, con dei connotati ben definiti e circoscritti, che si assimilava prevalentemente alle aree del Mezzogiorno, agli esclusi dal mondo del lavoro, agli anziani, alle famiglie numerose con 5 o più componenti, specie se con figli minori.

Oggi, come già evidenziato anche in precedenti rapporti di Caritas Italiana, accanto ad alcune situazioni che rimangono stabili, irrisolte e in molti casi aggravate, si evidenziano alcuni elementi inediti e in controtendenza. Sul fronte dell’occupazione le famiglie maggiormente sfavorite sono quelle la cui la persona di riferimento è in cerca di un’occupazione (tra loro la percentuale di poveri sale al 19,8%). È netto anche per questi casi il peggioramento rispetto al periodo pre-crisi (si è passati da un’incidenza del 7,0% al 19,8%).

Accanto a tali situazioni negli ultimi anni sembrano aggravarsi le difficoltà di chi può contare su un’occupazione, i cosiddetti working poor, magari sotto-occupati e/o a bassa remunerazione. Tra loro particolarmente preoccupante è la situazione delle famiglie di operai, per le quali la povertà sale all’11,7%. Al di sotto della media, invece, il livello di disagio delle famiglie di ritirati dal lavoro.

Accanto all’occupazione un’altra variabile degna di attenzione è quella dell’età, per la quale si registrano numerosi elementi di novità e di “rottura” rispetto al passato. Oggi i dati Istat descrivono una povertà che potrebbe definirsi “inversamente proporzionale all’età”, che tende, cioè, a diminuire all’aumentare di quest’ultima. Se si analizzano i dati disaggregati per classi si nota come l’incidenza più alta si registra proprio tra i minori, gli under 18, seguita dalla classe 18-34 anni; al contrario gli over 65, diversamente da quanto accadeva meno di un decennio fa, si attestano su livelli contenuti di disagio.

Degli oltre 4,5 milioni di poveri totali, il 46,6% risulta under 34; in termini assoluti si tratta di 2 milioni 144 mila individui, dei quali 1 milione 131 mila minori. Gli studi della Banca d’Italia evidenziano come, negli ultimi venti anni, i divari di ricchezza tra giovani e anziani (che riflettono anche il naturale processo di accumulazione dei risparmi lungo il ciclo di vita) si siano progressivamente ampliati: “in termini reali – si legge nel Bollettino Statistico – la ricchezza media delle famiglie con capofamiglia tra i 18 e i 34 anni è meno della metà di quella registrata nel 1995, mentre quella delle famiglie con capofamiglia con almeno 65 anni è aumentata di circa il 60%: il rapporto tra quest’ultima e quella dei più giovani è passato da meno dell’unità a oltre 3.

Ad aggiungere ulteriori elementi sul tema c’è anche il recente Rapporto McKinsey titolato “Poorer thain their parents: a new perspective on income inequality”. Nello studio, oltre a denunciare una stagnazione e diminuzione dei redditi delle famiglie tra il 2005 e il 2014 (in 25 economie sviluppate), viene lanciato un allarme sull’attuale ribaltamento generazionale: oggi per la prima volta dal dopoguerra c’è il serio rischio che i figli “finiscano la loro vita più poveri dei loro padri”. E l’Italia si distingue come il paese in cui tale sconvolgimento generazionale è più prorompente.

I DATI RELATIVI AI CENTRI CARITAS

Nel corso del 2015 le persone incontrate nei centri inclusi nella rilevazione sono state 190.465 (in media circa 115 persone a centro). Il 44,8 % ha fatto riferimento a servizi collocati nelle regioni del Nord, il 32,2% a CdA del Centro e il 23,0 % a strutture del Mezzogiorno. Il forte sbilanciamento dell’utenza verso i servizi del Settentrione non rispecchia l’incidenza della povertà in Italia ma è probabilmente ascrivibile da un lato alla maggiore ricettività e dimensioni dei centri di queste zone rispetto a quelli del Sud, dall’altro alla più alta percentuale di presenze straniere che nel Settentrione hanno fatto riferimento alle Caritas diocesane.

gli stranieri al Nord rappresentano il 64,5% delle persone ascoltate (a livello nazionale il 57,2%); nelle regioni del Mezzogiorno al contrario sono gli italiani a costituire la maggioranza assoluta del totale. Emergono quindi due diversi profili di povertà: un Nord e un Centro per i quali il volto delle persone aiutate coincide per lo più con quello degli stranieri; un Mezzogiorno più povero e con una minor incidenza di immigrati, dove a chiedere aiuto sono prevalentemente famiglie di italiani. Anche le regioni del Centro-Nord, tuttavia, nel corso degli anni hanno registrato un vistoso aumento del peso degli italiani.

LE PROPOSTE DELLA CARITAS ITALIANA

In risposta al forte incremento della povertà assoluta in Italia l’unica strada percorribile è quella di un Piano Pluriennale di contrasto alla povertà, che porti alla introduzione nel nostro Paese di una misura universalistica contro la povertà assoluta.

Tale Piano, come proposto da tempo dall’Alleanza contro la povertà, di cui Caritas Italiana fa parte, dovrebbe prevedere, in una prospettiva di medio lungo-periodo, un graduale e progressivo incremento degli stanziamenti in modo da raggiungere tutte le persone in povertà assoluta e – considerate le profonde differenze territoriali nel funzionamento dei servizi alla persona – rafforzare adeguatamente i sistemi di welfare locale.

Questa prospettiva di “gradualismo in un orizzonte definito” si può realizzare se il legislatore mette a fuoco da subito (nella legge di bilancio 2017): il punto di arrivo del percorso, le tappe intermedie, l’allargamento progressivo di anno in anno della platea dei beneficiari, l’incremento progressivo delle risorse stanziate annualmente (cfr. Caritas Italiana, Non fermiamo la riforma. Rapporto 2016 sulle politiche contro la povertà in Italia).

Appare urgente attivare politiche del lavoro tese a contrastare la disoccupazione, in modo particolare quella giovanile, perché come ricorda Papa Francesco: «Quando non c’è lavoro a rischiare è la dignità, perché la mancanza di lavoro non solo non ti permette di portare il pane a casa, ma non ti fa sentire degno di guadagnarti la vita! Oggi i giovani sono vittime di questo […]».

Si auspica inoltre la promozione e l’incentivazione di percorsi di studio e formazione per i giovani, soprattutto nelle famiglie meno abbienti. La cultura e l’istruzione sono, infatti, gli elementi che possono maggiormente tutelare da possibili percorsi di impoverimento (anche in termini preventivi), ostacolando anche quei circoli viziosi di povertà che si trasmettono spesso “di padre in figlio”.

Rispetto alle problematiche della questione migratoria si chiede: l’attivazione di politiche inclusive, non discriminanti e non categoriali, rifuggendo approcci demagogici; la composizione di un sistema di accoglienza per i richiedenti la protezione internazionale e i rifugiati, nonché per i minori stranieri non accompagnati, organico e sostenibile, che sia in grado di offrire standard qualitativi uniformi a prescindere dalla fase e dalle modalità dell’accoglienza, coinvolgendo il Terzo settore in un’ottica di leale collaborazione; strutturare interventi sempre più efficaci a contrasto dei fenomeni di sfruttamento di cui i migranti cadono vittime, a causa della precarietà della loro condizione;  politiche e programmi specifici, a livello nazionale e regionale, volti a facilitare l’inserimento socio-economico abitativo sia dei titolari di protezione internazionale e umanitaria che dei migranti già regolarmente soggiornanti in Italia ad altro titolo; la pianificazione, secondo un approccio lungimirante, di strategie per l’integrazione e l’interculturalità che prevedano maggiori diritti di cittadinanza.

Rispetto alle politiche implementabili a livello europeo, si domanda: l’apertura di canali sicuri e legali di ingresso nell’UE sia attraverso l’introduzione di visti umanitari, ottenibili e accessibili presso qualsiasi ambasciata dell’UE, nei Paesi di origine e di transito; sia attraverso l’esenzione dall’obbligo del visto se giustificato da motivi umanitari; l’applicazione piena del principio di solidarietà intraeuropea nella condivisione delle accoglienze dei richiedenti la protezione internazionale, affinché ogni Stato si impegni a fare la sua parte nell’accoglienza e integrazione dei migranti, data l’assoluta inefficacia dei programmi di ricollocamento finora attuati; una maggiore attenzione agli ingressi in Europa non collegati solo alla protezione internazionale, prevedendo una facilitazione degli ingressi per motivi di lavoro e di ricongiungimento familiare dei rifugiati e degli immigrati, per favorire l’integrazione nei Paesi di accoglienza.

Alessandra Congedo

Direttore responsabile - Laureata in Scienze della Comunicazione all'Università del Salento con una tesi di laurea dal titolo “Effetti della comunicazione deterministica nella dicotomia industria/ambiente”, incentrata sulla questione ambientale tarantina. Ha collaborato con il TarantOggi, Voce del Popolo, Nota Bene, Radio Cittadella (SegnoUrbano On Air), Corriere del Mezzogiorno, Manifesto. Ha curato l’ufficio stampa del WWF Taranto per il progetto “Ecomuseo del mar Piccolo”. Il 21 novembre 2013 è stata premiata nella categoria “Giornalismo” nell’ambito della Rassegna Azzurro Salentino. Ha partecipato a "Fumo negli occhi", documentario sull'Ilva e sull'inchiesta "Ambiente Svenduto".

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