Ilva, Legambiente Taranto: il tempo della parole è scaduto
Di fronte al contenuto ed ai toni del dibattito sviluppatosi negli ultimi giorni viene spontaneo trovare un parallelismo tra la situazione di Taranto e il dramma di Beckett. Noi non sappiamo se il Sindaco di Taranto arriverà ad emettere una ordinanza volta alla chiusura dello stabilimento Ilva di Taranto e se la stessa, nel caso, avrà effettivamente efficacia.
Sono diversi gli elementi che pongono interrogativi in tal senso, a partire dalla lunga sequela di sentenze emesse dal TAR in passato, dopo i puntuali ricorsi targati Ilva, che hanno sovente viste premiate le ragioni dell’azienda fotografando così una divaricazione di fatto tra le ragioni del diritto e il senso comune. O dal possibile atteggiamento di un Governo sinora estremamente prodigo di provvedimenti legislativi volti a garantire in qualunque caso la continuità produttiva.
Crediamo però che, anche nell’ipotesi di ordinanza non adottata o inefficace, il tema delle azioni da intraprendere – perdurando l’assenza di attuazione degli intervisti previsti dal Piano Ambientale in vigore per l’Ilva di Taranto – debba comunque essere posto all’ordine del giorno perché attiene la possibilità di mantenere in funzione impianti di cui la Corte Costituzionale ha permesso l’esercizio, a fronte del sequestro operato dalla magistratura, solo in virtù dell’esistenza di un programma di interventi da adottare in un determinato lasso di tempo. Un compromesso tra diritto alla salute e diritto al lavoro, esigenze ambientali e necessità produttive in cui il fattore tempo non può essere derubricato a fattore secondario o, peggio, ininfluente.
Spesso, nel dibattito in corso, è assente tra l’altro una riflessione attenta sul fatto, di assoluto rilievo, che in base all’ultimo decreto Ilva è stato consentito ai suoi possibili acquirenti/affittuari di presentare proposte di modifica alle misure previste dal piano ambientale in vigore e che un gruppo di esperti è al lavoro per valutarle e validare un nuovo piano ambientale. Del suo contenuto, e cioè degli interventi previsti, della loro efficacia rispetto alle esigenze di tutela della salute di cittadini e lavoratori, dei relativi tempi di attuazione, non si sa nulla.
Una condizione di sospensione in cui saremo immersi ancora per settimane e forse, considerati i tempi previsti dall’ultimo provvedimento legislativo, per mesi. Mesi in cui i Commissari governativi continueranno a fare poco o nulla per realizzare gli interventi previsti dall’AIA. Mesi in cui l’Ilva continuerà a produrre utilizzando impianti che necessitano di interventi profondi, a partire dalle cokerie. Mesi in cui continuerà lo spolverio proveniente dai parchi minerali a cielo aperto.
Certo, la produzione del siderurgico è lontana dai picchi produttivi raggiunti in passato e questo, unito a una conduzione degli impianti più accorta e agli interventi previsti dall’AIA fin qui realizzati, ha indubitabilmente prodotto un forte ridimensionamento delle emissioni inquinanti. Ma questo non basta né può essere il lasciapassare per continuare a tenerli in marcia così come sono, magari fino a che non arrivino alla naturale fine del loro ciclo produttivo.
In un’intervista recentemente rilasciata il professor Assennato, ex direttore generale di ARPA Puglia ed epidemiologo di chiara fama, ha affermato che lo studio epidemiologico presentato il 3 ottobre “è uno studio ottimo, che ha dato ottime risposte per il fine per il quale era stato disegnato, ma alla domanda l’Ilva uccide anche oggi o no? non può rispondere perché non è stato disegnato per fare questo”.
Nella stessa intervista ha fatto riferimento anche ad uno studio tossicologico, attualmente interrotto, avviato dalla regione Puglia al quale stavano lavorando i CNR di Bari e Lecce e le Università di Bari, Salento, Milano e Brescia, capace –per le sue intrinsiche caratteristiche – di definire il livello di tossicità degli inquinanti e, quindi, di poter essere utilizzato per valutare i rischi per la salute connessi, qui ed ora, all’attività dell’Ilva. Noi crediamo che questo studio debba essere portato avanti: non conosciamo le ragioni che hanno portato al suo blocco e chiediamo al Governatore della Regione Puglia di verificarle e adoperarsi affinché lo stesso continui e arrivi a conclusione.
Al Presidente Emiliano chiediamo anche a che punto è l’iter per procedere, finalmente, alle assunzioni in ARPA Puglia previste dall’ultimo decreto e da noi richieste con forza al Parlamento sin dal gennaio 2015, in sede di discussione del precedente decreto Ilva. Perché è evidente che l’emerito lavoro svolto dall’ARPA nonostante la perdurante scarsità di personale che la affligge, con particolare riferimento alla realtà jonica, così “carica” di realtà industriali, deve trovare sviluppo e che la necessità di monitorare il quadro emissivo dell’Ilva richiede, come l’ultimo decreto ha finalmente riconosciuto, un numero di addetti e, aggiungiamo noi di risorse, di gran lunga superiore a quello attualmente impiegato. Ma anche questo non basta.
Avevamo chiesto che l’ennesima proroga del termine ultimo di attuazione dell’AIA trovasse un sia pur parziale contrappeso nell’indicazione di tempi intermedi il cui mancato rispetto portasse, in automatico, alla chiusura degli impianti interessati. Il Governo e il Parlamento non hanno voluto, allora, ascoltare: ora torniamo a ribadire, con forza, la nostra richiesta. Non conosciamo né le misure né i relativi tempi di attuazione che gli esperti che stanno valutando le modifiche al piano ambientale vigente indicheranno come necessarie.
La speranza che esse siano rigorose, che verranno accettate dalle imprese che hanno manifestato interesse a rilevare ll’Ilva, e – soprattutto – che verranno attuate in tempi rapidi è ridotta al lumicino. Non la alimentano certo né i tanti i rinvii cui abbiamo sinora assistito, né le frasi di circostanza puntualmente pronunciate, né la mancata piena assunzione delle risultanze della Valutazione del Danno Sanitario effettuata da ARPA Puglia che da tempo indicano che la capacità produttiva attualmente autorizzata di 8 milioni di tonnellate comporta, anche ad AIA attuata, rischi per la salute dei cittadini .
Non sappiamo se il piano industriale dei potenziali acquirenti preveda o meno il totale o parziale accantonamento del ciclo integrale basato sul carbone e l’utilizzo del metano e del preridotto come già indicato, ormai tanto tempo fa, dall’allora subcommissario Ronchi e come da noi sostenuto fin da allora. Non sappiamo molte, troppe cose, come tutti i cittadini di Taranto d’altronde, e come loro vorremmo saperle, vorremmo che a questa storia venisse posta la parola fine.
Per questo chiediamo al Governo e in particolare al Ministro dell’Ambiente cui spetta, per legge, il compito di proporre, sulla base dell’istruttoria svolta dal comitato degli esperti nominato con l’ultimo decreto, modifiche e integrazioni alle proposte relative al piano ambientale presentate dalle imprese interessate ad Ilva, di prevedere sin d’ora l’adozione di termini ultimativi circa l’uso di impianti attualmente in funzione ancora privi degli interventi che possano ridurne il carico inquinante; termini che prevedano in primo luogo la riduzione della loro capacità produttiva e, superato un determinato lasso di tempo, il loro fermo fino a quando non verranno messi a norma. Il tempo della parole è scaduto.
LEGAMBIENTE TARANTO