TARANTO – Quanto acciaio vale una vita? È una domanda che ci siamo posti tante volte in questi anni, presi dalla rabbia che spesso ci pervadeva leggendo i dati sull’incidenza dei tumori e sulla mortalità riguardanti Taranto. Un milione di tonnellate? E nel caso di un bambino? Tre milioni, quattro? Quesiti assurdi e tremendi. La vita non ha prezzo, è chiaro! Forse sarebbe stato più giusto chiederci che prezzo paghiamo all’acciaio?
In passato, nessuno poteva dirlo perché non esistevano studi certi che avessero messo in relazione livelli di produzione con la variazione di mortalità. Attraverso vari contributi (studio SENTIERI, Rapporti annuali sullo Stato della Popolazione della ASL, Registro Tumori), abbiamo scoperto che la città di Taranto mostrava, soprattutto in alcuni suoi quartieri, un eccesso di incidenza di patologie e mortalità, ma l’evidenza certa che le emissioni inquinanti dell’Ilva incidessero su questo dato nessuno l’aveva mai certificata con una pubblicazione scientifica.
Ora questo è scritto nero su bianco nel “Rapporto conclusivo dello Studio di coorte sugli effetti delle esposizioni ambientali ed occupazionali sulla morbosità e mortalità della popolazione di Taranto” commissionato dalla Regione Puglia e coordinato dal dott. Francesco Forastiere del Dipartimento di Epidemiologia della ASL Roma 1, con il contributo di ASL TA, ARPA, ARES.
I risultati evidenziano eccessi di morbosità e morbilità sia rispetto alla maggiore esposizione a PM10 che a SO2, con un danno più evidente per il secondo inquinante. La mortalità risulta significativamente maggiore nei soggetti più esposti, sia per tutte le cause, sia per quelle cardiovascolari, sia per i tumori. Patologie respiratorie, cardiocircolatorie e renali sono allo stesso modo più frequenti.
Nella seconda parte dello studio, per il periodo 2008-2014, sono stati poi estrapolati i dati di mortalità e relazionati alle emissioni di PM10 ed SO2. È stato scelto un arco di tempo caratterizzato da significativa variabilità della produzione Ilva. La produzione di acciaio ha subìto una crisi nel 2009, poi è notevolmente cresciuta fino al 2011 ed è tornata a scendere fino al 2014. Le curve delle variazioni di mortalità nei quartieri più a rischio, con particolare evidenza nel quartiere Tamburi, seguono quasi in parallelo la curva delle emissioni inquinanti e quindi della produzione di acciaio. Ecco la conferma del legame tra aumento di inquinamento e aumento di mortalità. Ciò che avevamo sempre supposto ha finalmente trovato una conferma scientifica.
Il dott. Forastiere ci suggerisce un’altra riflessione: lo studio mostra una minor influenza delle variazioni di produzione sull’incidenza di tumori nella popolazione. La latenza dei tumori è infatti generalmente lunga (dura anche decenni) e risente poco delle oscillazioni annuali delle emissioni inquinanti. Decisamente più rapida si è dimostrata, invece, la variazione dell’incidenza di malattie respiratorie. Questo significa che i miglioramenti ambientali incidono quasi immediatamente sulle patologie respiratorie. Da segnalare, inoltre, che lo studio ha tenuto conto dell’incidenza del fumov (dimostratasi ininfluente nel confronto tra gruppi) e degli aggiustamenti statistici dovuti dalle diverse condizioni socio-economiche.
Già presentato lo scorso 3 ottobre a Bari, alla presenza del governatore Michele Emiliano, oggi il rapporto è stato spiegato alla cittadinanza tarantina grazie all’iniziativa del consigliere regionale Gianni Liviano. Nella sede della “Città che vogliamo” si è svolto un incontro pubblico (a cui hanno partecipato alcuni coautori della pubblicazione) che ha stimolato un acceso confronto tra chi segue le vicende ambientali del capoluogo ionico. Presenti, tra gli altri, il presidente dell’Ordine dei Medici di Taranto Cosimo Nume, il dott. Sante Minerba, dirigente della ASL di Taranto, la dott.ssa Antonella Mincuzzi, coordinatrice del Registro Tumori di Taranto, la dott.ssa Angela Morabito di Arpa Puglia. Assente, invece, la dott.ssa Barbara Valenzano del Dipartimento Ecologia Regione Puglia che aveva assicurato la sua presenza.
Il dott. Nume ha espresso il punto di vista del medico che normalmente, quando tenta di far guarire un paziente, cerca di un eliminare del tutto la causa del suo male. Il parallelo con ciò che dimostra lo studio è evidente. Ha poi ribadito la necessità di puntare ad un Polo oncologico tarantino che non risulti accorpato all’IRCCS di Bari. Il dott. Minerba ha esposto tutte le tappe che hanno contribuito, negli anni, alla conoscenza del danno ambientale e sanitario. I primi studi, molto meno elaborati degli attuali, risalgono agli anni ’70. Durante il lungo processo di organizzazione, la Asl ha dovuto formare competenze e professionalità in grado di affrontare analisi epidemiologiche.
La dott.ssa Morabito si è soffermata sulla metodica utilizzata da Arpa Puglia nello studio di coorte per elaborare un modello di dispersione e diffusione delle polveri sottili e dell’anidride solforosa che tenesse conto delle condizioni meteo e delle distanze dalle sorgenti inquinanti dalle aree oggetto dello studio (i territori di Taranto, Statte e Massafra). Il modello elaborato utilizzava i dati di emissione dichiarati da Ilva e riferiti all’anno 2010. Attraverso complesse elaborazioni, valutava le zone a più alta deposizione di inquinanti che coincidevano con alcuni quartieri: Tamburi, Paolo VI, parte del Borgo e di Statte.
È seguita l’illustrazione dei risultati dello studio da parte della dott.ssa Mincuzzi che ha chiarito gli aspetti principali dello studio di coorte già divulgati dal nostro sito. Un altro tassello si è aggiunto, quindi, alla comprensione del danno sanitario e ambientale causato dalla grande industria a Taranto. Speriamo che ciò non resti pura conoscenza, ma che aiuti chi gestisce il governo del territorio a decidere per il meglio. Non esistono più, ormai, alibi legati all’ignoranza del rischio sanitario.
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