I rifiuti a Taranto e la piramide capovolta
Con i rifiuti urbani tocchiamo uno dei più grossi problemi di Taranto. La corretta gestione dei rifiuti è stata normata dall’Europa con la direttiva quadro 98/2008. L’articolo 4 della norma stabilisce una gerarchia del trattamento dei rifiuti: prevenzione, riutilizzo, riciclo, recupero e smaltimento. In questa città la piramide si capovolge, non si parte dal principio per cui il rifiuto migliore è quello che non si produce, si cerca invece la strada del raddoppio delle discariche, degli inceneritori e non quella virtuosa della raccolta differenziata.
RECUPERO ENERGETICO Produrre energia bruciando i rifiuti è compito degli inceneritori. In Italia la proliferazione degli inceneritori arriva nel ’92 con un provvedimento del Comitato Interministeriale Prezzi, il cosiddetto Cip6. Il Cip6 stabilisce prezzi incentivati per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e assimilate. Nella bolletta elettrica, alla voce due, era indicato il sette per cento in più destinato a un grande fondo per alimentare proprio le fonti energetiche rinnovabili. La parola assimilate fu aggiunta per includere nella norma fonti di vario tipo. Quelle fonti, pur essendo di origine fossile, hanno elevati rendimenti energetici e per questo sono assimilate alle fonti rinnovabili. Di conseguenza il Cip6 finiva, per il novanta per cento fino al 2009, ai petrolieri per bruciare gli scarti di petrolio e pure agli inceneritori. Il recupero energetico dipende però dall’efficienza energetica dell’inceneritore: se l’inceneritore ha una efficienza energetica superiore al sessantacinque per cento allora parliamo di recupero energetico. Se l’inceneritore non ha questo tipo di efficienza energetica – come quello di Taranto – non si può parlare di recupero energetico.
INCENERITORE E AMIU Quello di Taranto è considerato a livello normativo una discarica. Anche se qualcuno ha provato a chiamarlo termovalorizzatore. E le parole, come per assimilate, possono fare la differenza. La parola inceneritore porta a pensare alla combustione, alle emissioni, alla diossina, mentre termovalorizzatore è più rassicurante, richiama la valorizzazione del calore, cambia la percezione ma non esiste nelle normative. Per far ripartire l’inceneritore di Taranto servirebbero almeno otto milioni di euro, tanto costerebbe l’adeguamento alle prescrizioni imposte dalla valutazione di impatto ambientale. Il comune sarebbe disposto a coprire per metà l’investimento, lasciando la restante parte all’eventuale privato interessato alla gestione. L’inceneritore di Taranto rientra nel patrimonio dell’Amiu, l’azienda d’igiene urbana che nel corso degli anni è passata dall’essere una società municipalizzata a società per azioni. Il capitale è interamente del comune che sceglie le figure apicali, e la forma giuridica è orientata verso un’impronta imprenditoriale. Una società per azioni ha necessità di dividere gli utili a fine anno, per questo motivo la sua politica non è principalmente quella di rendere il miglior servizio possibile al minor costo possibile.
L’Amiu è profondamente indebitata e questo debito in qualche maniera viene coperto dallo stato patrimoniale, costringendo quindi il comune a tenere in vita l’inceneritore. Che però resta fermo. A muoversi sono i rifiuti di Taranto che finiscono all’inceneritore di Massafra. L’impianto di proprietà della Cisa, attualmente in fase di raddoppio, brucia 100 mila tonnellate di rifiuti ogni anno. Questi rifiuti vengono prima separati, la parte umida viene biostabilizzata e portata poi in discarica, quella secca va nell’inceneritore. Ogni tre tonnellate di rifiuti bruciati due si liberano nell’aria e una è lo scarto in cenere. Ceneri leggere e pesanti che si dividono in rifiuti speciali non pericolosi e rifiuti speciali pericolosi. Il costo di smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi è attorno ai cento euro a tonnellata, mentre il costo di smaltimento di una tonnellata di rifiuti urbani pericolosi è notevolmente più alto.
RIFIUTI SPECIALI Secondo un rapporto dell’Ispra del 2016 nella provincia di Taranto vengono smaltiti oltre un milione di tonnellate di rifiuti speciali. In Puglia se ne producono nove milioni. I rifiuti speciali non devono sottostare al cosiddetto principio di prossimità, quindi trattati nel punto più vicino rispetto a dove vengono raccolti, ma devono rispettare il principio di specificità, quindi smaltiti in un impianto specializzato a seconda del codice Cer (Catalogo europeo dei rifiuti) riportato. Raggiungono così la discarica di rifiuti speciali non pericolosi Italcave di Statte (chiesto il raddoppio, ma sotto quei terreni la falda sarebbe contaminata) la Linea Ambiente di Grottaglie (che ha chiesto il raddoppio in altezza), la Cisa di Massafra e la Vergine di Lizzano (adesso chiusa).
RACCOLTA DIFFERENZIATA Torniamo alla piramide capovolta. Per far arrivare all’inceneritore o alla discarica meno rifiuti possibili occorre differenziare. A questo punto entriamo nello stato di illegalità del comune di Taranto rispetto alla raccolta differenziata. Infatti, secondo il codice dell’ambiente, decreto legislativo 152/2006 articolo 205, i comuni sarebbero dovuti arrivare al 31 dicembre 2012 al sessantacinque per cento di raccolta differenziata. Oggi Taranto non arriva neanche al venti per cento. Delle centomila tonnellate circa di rifiuti raccolti ogni anno, solo il quindici per cento viene differenziato. Il resto è smaltimento. Le percentuali di differenziata sono basse perché in città non è prevista la raccolta porta a porta, attiva solo in alcuni quartieri. Così si è passati da un sette a un sempre vergognoso sedici per cento.
ECOTASSA Per legge, per scoraggiare i comuni a conferire nelle discariche e quindi a differenziare, è stata applicata l’ecotassa. Prima dell’introduzione della nuova aliquota il costo del conferimento dei rifiuti era di 15 euro a tonnellata. I comuni più virtuosi, quelli con le percentuali di differenziata più alte, e quelli – come Taranto – che chiudevano il ciclo di rifiuti nel proprio Ato, venivano premiati con uno sconto sull’ecotassa. Il comune pagava 7,50 euro a tonnellata. Quando le cose sono cambiate e si è passati a 25 euro a tonnellata, i comuni non virtuosi si sono rivolti alla Regione, riuscendo a strappare una deroga. Da quel momento, se nel mese di giugno avessero realizzato solo un cinque per cento in più di differenziata rispetto al mese di novembre dell’anno precedente, veniva confermata l’aliquota più bassa. Quest’anno il comune di Taranto non avrebbe ancora comunicato i dati alla Regione.
Occorre dunque creare una economia virtuosa, circolare, capace di trasformare i rifiuti in utili e che sostituisca l’economia dello smaltimento. Il business dei rifiuti dell’indifferenziato è vizioso, non a caso chi gestisce i cicli di trattamento meccanico biologico, e quindi discarica o incenerimento, fa un mucchio di soldi. È una responsabilità politica.