La Corte di Assise di Taranto, con l’ordinanza del 4 ottobre, ha accolto la richiesta di costituzione di parte civile di Legambiente anche nei confronti di ILVA, RIVA FIRE e RIVA FORNI ELETTRICI, società imputate nel processo Ilva per disastro ambientale dei medesimi reati addebitati ai loro amministratori secondo le regole dettate dalla legge 231 del 2011 che ha introdotto nel nostro sistema la cosiddetta responsabilità penale delle persone giuridiche (Enti, aziende).
La legge, estremamente innovativa quanto sinora scarsamente applicata, soprattutto nel nostro territorio, ha inteso punire, con una pena naturalmente soltanto pecuniaria, le società per le condotte che hanno determinato la commissione di reati da parte di coloro i quali le rappresentano. Pena che non va confusa con l’obbligo di risarcire i danni arrecati, che è quindi questione diversa e come tale segue un suo specifico iter.
Fin dall’inizio della sua applicazione è insorto il problema di decidere se contro questi soggetti potesse esercitarsi il diritto di costituirsi parte civile, oggetto di un dibattito appassionato che ha coinvolto il mondo dei giuristi. Ha preso subito piede la teoria negativa sulla base della interpretazione della nuova norma ma, soprattutto, della impossibilità di incasellare la nuova figura di responsabilità, delineata dalla Legge 231, in una di quelle già conosciute dalla dottrina.
Quello che l’avvocato Eligio Curci, nostro socio, che insieme all’avvocato Ludovica Coda ha seguito la costituzione di parte civile di Legambiente, ha definito innanzi alla Corte di Assise “il paradosso dell’ornitorinco“. L’ornitorinco è un animale sorprendente: zampe palmate munite di unghie capaci di secernere veleno, becco da papera, assenza di collo, pelliccia da castoro. Il primo ornitorinco impagliato arrivò in Inghilterra dall’Australia alla fine del 1700: di fronte a un animale così paradossale la comunità scientifica europea immaginò fosse uno scherzo. Quando si capì che esisteva veramente divampò tra i biologi un grande dibattito durato decenni su come classificarlo: un rettile, un mammifero, un uccello? Ma se l’ornitorinco era un animale “paradossale” lo era solo perché si rimaneva chiusi nelle categorie fino ad allora considerate.
La tesi negativa si è rafforzata sulla base di alcune pronunce: Corte Costituzionale, Corte Europea e Corte di Cassazione. Le prime non avevano reale significato mentre quelle della Cassazione (tre), costituivano un precedente specifico che poteva determinare una pietra tombale sulla questione. La Corte di Assise di Taranto, invece, seguendo un diverso ragionamento, e sposando in gran parte l’impostazione che abbiamo proposto, ha “osato” andare in senso contrario ammettendo la nostra richiesta di costituzione, inaugurando così – da Taranto – una pagina nuova in tema di responsabilità, che porteremo avanti in tutti i gradi di giudizio.
Un risultato importante, utile per concorrere alla individuazione di tutti i responsabili del disastro ambientale che ha investito la nostra città, giunto a ridosso della diffusione dello Studio sugli effetti delle esposizioni ambientali ed occupazionali sulla morbosità e mortalità della popolazione residente a Taranto (lo studio è scaricabile dagli allegati) realizzato dal Dipartimento Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale Regione Lazio, da ARPA Puglia, da ARES Puglia e dalla ASL di Taranto che conferma “la forte relazione tra esposizione a PM10 E SO2 di origine industriale e mortalità naturale e per cause specifiche, ricoveri ospedalieri ed incidenza di alcune forme tumorali”.
Tramite i nostri legali chiederemo che lo Studio sia acquisito agli atti del processo. Nessuno potrà restituirci i nostri morti. Ma il disastro di Taranto non può restare senza responsabili.
LEGAMBIENTE TARANTO
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