Ilva e salute, ma quanti hanno davvero letto lo studio Forastiere?

TARANTO – Quanti hanno letto le 93 pagine del rapporto conclusivo relativo allo  “Studio di coorte sugli effetti delle esposizioni ambientali ed occupazionali sulla morbosità e mortalità della popolazione residente a Taranto”? In pochi, crediamo, eppure tutti si sentono autorizzati a dire la loro e a comunicare anche messaggi scorretti o addirittura fuorvianti. Molti stanno utilizzando i risultati dello studio per evidenziare che a Taranto la situazione è in continuo peggioramento e che l’emergenza sanitaria si sta acuendo.

Affermazioni che forniscono un assist al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti che per difendere l’operato del governo dice che quei dati riguardano il passato e che le cose, nel frattempo, sono cambiate (solo perché si è ridotto il livello di produzione e non per meriti istituzionali ovviamente, ndr). I dati dell’indagine, a nostro parere, vanno interpretati usando un’altra chiave di lettura molto più aderente alla realtà e più utile alla causa ambientalista.

Per correttezza nei confronti dei nostri lettori ci affidiamo proprio a quanto riportato a pagina 4 del rapporto: “E’ stata riscontrata una forte relazione tra esposizione a PM10 ed SO2 (anidride solforosa) di origine industriale e mortalità naturale e per cause specifiche, ricoveri ospedalieri ed incidenza di alcune forme tumorali”. Ed ancora: Lo studio attesta una relazione tra contaminazione ambientale di origine industriale e salute della popolazione residente nell’area di Taranto; per le malattie cardiorespiratorie tale relazione si manifesta con una latenza temporale breve. Pertanto, ad una diminuzione della concentrazione ambientale delle sostanze inquinanti consegue un guadagno immediato per la salute”.

Cosa ne dobbiamo dedurre? Cercheremo di usare il linguaggio più semplice possibile: in caso di riduzione della produzione dell’Ilva, i tarantini si ammalano e muoiono meno. Da cosa è dimostrato ciò? Leggiamo a pag. 6: La produttività dell’ILVA ha avuto delle variazioni nel periodo 2008-2014 con un declino a seguito della crisi economica (2009), un successivo aumento negli anni 2010-2012, e un declino nel 2013-2014. All’andamento produttivo, e quindi alle variazione delle emissioni, ha corrisposto un effetto sui livelli di inquinamento in prossimità dell’impianto e nei quartieri limitrofi. L’andamento della mortalità ha seguito in modo speculare l’andamento della produttività e l’inquinamento nei quartieri Tamburi e Borgo. Si è assistito a variazioni positive nei tassi di mortalità fino al 2012, a seguito di incrementi del PM10 di origine industriale, per poi osservare una riduzione sia dell’inquinamento che della mortalità nel 2013-2014”.

Si tratta di informazioni utili perché confermano quanto affermato da altri studi (e dal Registro Tumori) coprendo, però, un arco di tempo più recente. Dimostrano che le nostre condizioni di salute sono strettamente legate all’attività dell’Ilva. Se già una riduzione della produzione genera un guadagno in termini di salute, provate a immaginare che effetti sorprendenti si avrebbero in caso di fermo degli impianti inquinanti. E’ questo che dobbiamo urlare ai quattro venti. E’ questo il concetto da esporre al governo. Non il semplice lagnarsi che la situazione sta peggiorando, ma il dimostrare con dati alla mano che solo avviando a chiusura quella fabbrica infernale avremo dei benefici sostanziali per la salute e il benessere della collettività, lavoratori Ilva inclusi.

ANIDRIDE SOLFOROSA MADE IN ILVA

C’è un altro aspetto dello studio che va chiarito. Oggi, il sindaco Ezio Stefàno ha convocato una conferenza stampa annunciando di aver già pronta la bozza di un’ordinanza di chiusura dell’Ilva da sottoporre al prefetto (leggi qui). Evitiamo di soffermarci sulla credibilità di questa mossa, perché preferiamo correggere un’affermazione del primo cittadino. In merito ai danni prodotti dall’anidride solforosa, Stefàno ha dichiarato che questa sostanza è prodotta anche dall’Eni e non solo dall’Ilva omettendo di dire – perché forse non ha letto o approfondito abbastanza – che lo studio di Forastiere ha preso in considerazione esclusivamente le emissioni riconducibili alle sorgenti Ilva (leggi il rapporto da pag. 22). Pertanto, secondo gli autori di questo lavoro scientifico, l’anidride solforosa prodotta dal siderurgico (già da sola) provoca dei danni alla salute dei tarantini. Ciò, ovviamente, ci fornisce un quadro parziale. Viene da chiedersi, infatti, cosa verrebbe fuori se ai dati delle emissioni Ilva venissero aggiunti anche quelli della Raffineria? E perché non si producono documenti e studi altrettanto dettagliati sugli effetti prodotti dalle emissioni dell’Eni e di altre sorgenti inquinanti? Quesiti che meriterebbero risposte sincere.

L’USO POLITICO

C’è chi vede nell’atteggiamento del presidente della Regione Michele Emiliano un uso politico dello studio Forestiere (presentato ieri mattina a Bari) al fine di alzare la posta in gioco nel duello a distanza con il suo nemico n. 1 nel Partito Democratico (Matteo Renzi). Ma al di là delle reali intenzioni del governatore, questo studio deve essere usato come un ulteriore indicatore del rapporto esistente tra la produzione dell’Ilva e lo stato di salute dei cittadini. Questo indicatore, come tanti altri prodotti in precedenza, deve spingere a chiedere con maggiore determinazione e lungimiranza un cambio di passo da parte delle istituzioni, senza concedere sconti a nessuno, né a un sindaco che esibisce una pistola scarica – ordinanza di chiusura destinata a finire nel nulla come tutte le altre già partorite in passato  – né a un governatore che deve ancora dimostrare l’autenticità e la sincerità della propria azione “ambientalista”.

PREVENZIONE AMBIENTALE?

Concludiamo con quanto scritto a pagina 11 del rapporto: “La lettura di questi risultati anche alla luce della letteratura più recente sugli effetti nocivi dell’inquinamento ambientale di origine industriale depone a favore dell’esistenza di una relazione di causa-effetto tra emissioni industriali e danno sanitario nell’area di Taranto. La latenza temporale tra esposizione ed esito sanitario appare breve ad indicare la possibilità di un guadagno sanitario a seguito di interventi di prevenzione ambientale”.

Ora dobbiamo metterci d’accordo su cosa intendiamo per prevenzione ambientale. Quanto previsto dalle prescrizioni Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) e dai piani ambientali proposti dagli acquirenti dello stabilimento? No, grazie. Si tratterebbe solo di prolungare, in altre forme, la presa per i fondelli a discapito del territorio ionico. Questo lo studio non lo dice, ma chi ha a cuore le sorti della città dovrebbe farlo ad alta voce, anche a rischio di risultare insolente.

La favola raccontata negli ultimi anni sulla copertura dei parchi minerali (prescrizione n. 1 dell’Aia, ma destinata sin dal principio a rimanere sulla carta) non se la bevono più neanche i bambini. E pensare che si cercavano e proponevano soluzioni già dagli anni ’70. Così come non è spendibile neanche la proposta di ambientalizzazione (uso del gas al posto del carbone) ostinatamente avanzata Emiliano. Taranto, a tutti i livelli, deve rivendicare e pretendere altro: alternative credibili alla grande industria inquinante e non briciole di ipocrisia e misericordia calate dall’alto. E non dimentichiamo mai una verità incontrovertibile: per i veleni industriali non esiste soglia che possa garantire la mancanza di rischi per la salute umana. Lo diciamo a chi rivendica il rispetto dei limiti di legge per sentirsi con la coscienza a posto.

Alessandra Congedo

Direttore responsabile - Laureata in Scienze della Comunicazione all'Università del Salento con una tesi di laurea dal titolo “Effetti della comunicazione deterministica nella dicotomia industria/ambiente”, incentrata sulla questione ambientale tarantina. Ha collaborato con il TarantOggi, Voce del Popolo, Nota Bene, Radio Cittadella (SegnoUrbano On Air), Corriere del Mezzogiorno, Manifesto. Ha curato l’ufficio stampa del WWF Taranto per il progetto “Ecomuseo del mar Piccolo”. Il 21 novembre 2013 è stata premiata nella categoria “Giornalismo” nell’ambito della Rassegna Azzurro Salentino. Ha partecipato a "Fumo negli occhi", documentario sull'Ilva e sull'inchiesta "Ambiente Svenduto".

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