TARANTO – Quanti hanno letto le 93 pagine del rapporto conclusivo relativo allo “Studio di coorte sugli effetti delle esposizioni ambientali ed occupazionali sulla morbosità e mortalità della popolazione residente a Taranto”? In pochi, crediamo, eppure tutti si sentono autorizzati a dire la loro e a comunicare anche messaggi scorretti o addirittura fuorvianti. Molti stanno utilizzando i risultati dello studio per evidenziare che a Taranto la situazione è in continuo peggioramento e che l’emergenza sanitaria si sta acuendo.
Per correttezza nei confronti dei nostri lettori ci affidiamo proprio a quanto riportato a pagina 4 del rapporto: “E’ stata riscontrata una forte relazione tra esposizione a PM10 ed SO2 (anidride solforosa) di origine industriale e mortalità naturale e per cause specifiche, ricoveri ospedalieri ed incidenza di alcune forme tumorali”. Ed ancora: “Lo studio attesta una relazione tra contaminazione ambientale di origine industriale e salute della popolazione residente nell’area di Taranto; per le malattie cardiorespiratorie tale relazione si manifesta con una latenza temporale breve. Pertanto, ad una diminuzione della concentrazione ambientale delle sostanze inquinanti consegue un guadagno immediato per la salute”.
Cosa ne dobbiamo dedurre? Cercheremo di usare il linguaggio più semplice possibile: in caso di riduzione della produzione dell’Ilva, i tarantini si ammalano e muoiono meno. Da cosa è dimostrato ciò? Leggiamo a pag. 6: “La produttività dell’ILVA ha avuto delle variazioni nel periodo 2008-2014 con un declino a seguito della crisi economica (2009), un successivo aumento negli anni 2010-2012, e un declino nel 2013-2014. All’andamento produttivo, e quindi alle variazione delle emissioni, ha corrisposto un effetto sui livelli di inquinamento in prossimità dell’impianto e nei quartieri limitrofi. L’andamento della mortalità ha seguito in modo speculare l’andamento della produttività e l’inquinamento nei quartieri Tamburi e Borgo. Si è assistito a variazioni positive nei tassi di mortalità fino al 2012, a seguito di incrementi del PM10 di origine industriale, per poi osservare una riduzione sia dell’inquinamento che della mortalità nel 2013-2014”.
Si tratta di informazioni utili perché confermano quanto affermato da altri studi (e dal Registro Tumori) coprendo, però, un arco di tempo più recente. Dimostrano che le nostre condizioni di salute sono strettamente legate all’attività dell’Ilva. Se già una riduzione della produzione genera un guadagno in termini di salute, provate a immaginare che effetti sorprendenti si avrebbero in caso di fermo degli impianti inquinanti. E’ questo che dobbiamo urlare ai quattro venti. E’ questo il concetto da esporre al governo. Non il semplice lagnarsi che la situazione sta peggiorando, ma il dimostrare con dati alla mano che solo avviando a chiusura quella fabbrica infernale avremo dei benefici sostanziali per la salute e il benessere della collettività, lavoratori Ilva inclusi.
ANIDRIDE SOLFOROSA MADE IN ILVA
L’USO POLITICO
PREVENZIONE AMBIENTALE?
Concludiamo con quanto scritto a pagina 11 del rapporto: “La lettura di questi risultati anche alla luce della letteratura più recente sugli effetti nocivi dell’inquinamento ambientale di origine industriale depone a favore dell’esistenza di una relazione di causa-effetto tra emissioni industriali e danno sanitario nell’area di Taranto. La latenza temporale tra esposizione ed esito sanitario appare breve ad indicare la possibilità di un guadagno sanitario a seguito di interventi di prevenzione ambientale”.
Ora dobbiamo metterci d’accordo su cosa intendiamo per prevenzione ambientale. Quanto previsto dalle prescrizioni Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) e dai piani ambientali proposti dagli acquirenti dello stabilimento? No, grazie. Si tratterebbe solo di prolungare, in altre forme, la presa per i fondelli a discapito del territorio ionico. Questo lo studio non lo dice, ma chi ha a cuore le sorti della città dovrebbe farlo ad alta voce, anche a rischio di risultare insolente.
La favola raccontata negli ultimi anni sulla copertura dei parchi minerali (prescrizione n. 1 dell’Aia, ma destinata sin dal principio a rimanere sulla carta) non se la bevono più neanche i bambini. E pensare che si cercavano e proponevano soluzioni già dagli anni ’70. Così come non è spendibile neanche la proposta di ambientalizzazione (uso del gas al posto del carbone) ostinatamente avanzata Emiliano. Taranto, a tutti i livelli, deve rivendicare e pretendere altro: alternative credibili alla grande industria inquinante e non briciole di ipocrisia e misericordia calate dall’alto. E non dimentichiamo mai una verità incontrovertibile: per i veleni industriali non esiste soglia che possa garantire la mancanza di rischi per la salute umana. Lo diciamo a chi rivendica il rispetto dei limiti di legge per sentirsi con la coscienza a posto.
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