L’accademico piemontese è specialista nell’analisi e nel funzionamento di modelli simulati per risolvere i problemi di realtà produttive complesse
Al convegno organizzato da Motore Società sul futuro del Servizio sanitario nazionale tra modelli organizzativi, sostenibilità e innovazione (per saperne di più: http://www.motoresanita.it/wordpress/events/summer-school-2016/) il professor Pietro Terna, economista di lungo corso, già docente dell’università di Torino e ora presidente del prestigioso Collegio Carlo Alberto, ha presentato un’interessante relazione sui modelli simulati la cui applicazione può interessare anche siti industriali complessi. Lo scopo? Studiare il funzionamento dei processi produttivi e intervenire così con cognizione di causa per affrontare e risolvere problemi e criticità. È una metodologia che potrebbe fare anche al caso dell’Ilva di Taranto? Il professor Terna, al quale abbiamo rivolto alcune domande per conoscere meglio questo ambito di ricerca che si è ormai consolidato a livello internazionale, è fiducioso.
Lei ha fatto riferimento a quanto è accaduto in Cina dove è stato costruito un sito industriale del quale è stato poi realizzato il modello simulato, una sorta di copia virtuale. Può spiegarci meglio di cosa si tratta e quali finalità si propone di raggiungere questo tipo di esperimento?
“Il riferimento del progetto è la Cina, ma modelli simili saranno via via realizzati in tutto il mondo: si tratta di creare un “doppio informatico” di una struttura reale, nel modo più fedele possibile. Può trattarsi di uno stabilimento, di un sito industriale, di un grande ospedale, di un sistema di trasporti e così via. Avendo la copia informatica della realtà si può seguirne in modo analitico il funzionamento, ma soprattutto sperimentare cambiamenti e innovazione. C’è una tecnica ormai consolidata di simulazione, nata a metà degli anni ’90, che si chiama agent-based simulation, che serve proprio per queste applicazioni. Se un cambiamento o una innovazione falliscono nella copia virtuale, meglio starne lontani nella realtà; se riescono nella copia virtuale, si può ragionarne nella realtà. Ragionarne significa confrontarsi su elementi ben definiti, tra persone che forse hanno idee molto diverse, per cercare un percorso condiviso di decisione”.
Ritiene che questa metodologia d’indagine e di studio possa essere applicata anche all’Ilva di Taranto, in particolare per contrastare efficacemente il ripetersi dei gravi infortuni che si verificano all’interno del siderurgico tarantino?
“L’antinfortunistica è certamente un campo di applicazione, ma nel caso dell’Ilva lancerei una provocazione ben più grande. Quella di chiamare tutte le forze intellettuali dell’area, in primis l’accademia e penso al Polo universitario jonico dell’Università di Bari, le istituzioni, i cittadini, gli imprenditori, i sindacati, a promuovere la costruzione di un modello analitico dell’Ilva di oggi e dell’eventuale Ilva di domani, estendendo il modello a tutto il contesto sociale ed economico che racchiude il grande stabilimento al suo interno”.
Da molti anni, infatti, la comunità di Taranto è spaccata in due: da un lato c’è chi chiede la chiusura dell’Ilva, dall’altro chi, come il governo, confida ancora nella possibilità di risanare lo stabilimento per renderlo ecocompatibile. Lei cosa ne pensa?
“Proprio perché è tanto difficile trovare un’intesa e superare le grandi motivazioni del conflitto, credo che la strada nuova della costruzione di una base comune di conoscenza, con un modello realistico, costruito nel computer, di tutta la realtà da trattare, sia una risposta. Si passerebbe dal conflitto al dialogo su temi concreti, su dati analitici, sulla comprensione dei dettagli e di tutte le interazioni. Sarebbe un grande passo verso il realismo per tutti”.
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