La Palude “La Vela”: da regno dei cacciatori a oasi di pace per uomini e animali

TARANTO – Da regno dei cacciatori ad oasi di pace per umani ed animali. E’ la storia della Riserva naturale regionale orientata Palude La Vela, un luogo abbandonato per decenni, privo di recinzione, dove agivano vandali e prostitute. Pochi conoscono i retroscena che hanno portato all’istituzione di una Riserva che oggi rappresenta il fiore all’occhiello del territorio ionico. Negli Ottanta, infatti, i volontari del WWF, venti-trenta persone, si inventavano qualsiasi cosa pur di disturbare l’attività dei cacciatori e preservare la fauna selvatica armandosi di fischietti e tanto coraggio. Da allora la situazione è completamente cambiata. Oggi, l’Oasi risulta protetta dall’esterno e accogliente per i suoi ospiti. E’ stata messa in sicurezza e completamente ripulita. Di questo e di tanto altro abbiamo parlato con il direttore della Riserva Vito Crisanti, in carica da un anno e mezzo.

Direttore, ci ricorda com’è nata l’Oasi?

«Nel 1987 fui nominato responsabile del WWF locale e creai un bel gruppo formato da ragazzi e persone meravigliose. Insieme decidemmo di presentare una proposta per realizzare quanto veniva auspicato da più parti: un’oasi sul secondo seno di mar Piccolo. Organizzamo anche un convegno che si tenne il 13 giugno del 1988 nel salone di rappresentanza della Provincia, alla presenza del sindaco di Taranto, del vicepresidente della Provincia e vari assessori. In quell’occasione illustrammo il documento che poi portammo all’attenzione della Regione Puglia».

Come andò con la Regione?

«All’inizio non fummo accolti bene. All’epoca non esisteva l’ufficio dei parchi naturali e il settore competente era legato all’agricoltura e alla caccia. L’area interessata era il regno dei cacciatori provenienti da tutta la Puglia.  Ricordo che fui trattato con derisione ed arroganza ma non mi feci condizionare. Col tempo, grazie alla mia insistenza, riuscìì a ottenere un trattamento diverso, basato sul rispetto. Poi mi recai al Demanio per richiedere la pineta in fitto. Era un passo importante da compiere per liberare questa zona dai bivacchi e dalle bottigliette di birra Raffo che venivano gettate ovunque. Per il fitto servivano 500.000 lire all’anno e come associazione ci muovemmo per raccogliere, tramite le donazioni dei cittadini, la somma necessaria. Inoltre convincemmo il WWF nazionale della bontà dell’operazione, nonostante la diffidenza iniziale. Riuscimmo ad avere la pineta in 7 mesi, una velocità supersonica rispetto ai tempi delle istituzioni. Eravamo agli inizi degli anni Novanta. Era un bel periodo».

Quanto era grande l’Oasi in quegli anni?

«Era il doppio: 240 ettari rispetto ai 120 attuali. Erano previste aree cuscinetto intorno al perimetro dell’Oasi per tenere lontano i cacciatori. Ora il limite della Riserva è rappresentato dalla strada. Questo non va bene perché le anatre ospitate nell’Oasi potrebbero essere colpite dai cacciatori a poca distanza da qui. Stiamo proponendo, quindi, un allargamento dei confini della Riserva per tutelare maggiormente la fauna».

In quale anno l’Oasi è diventata Riserva?

«Nel 2006 la Regione ha deciso di inserire questa zona in un elenco di aree protette nazionali ed europee (leggi qui). E’ diventata quindi una Riserva Naturale Regionale Orientata. Si dice orientata perché è una pineta artificiale, nata per mano dell’uomo, probabilmente per iniziativa degli inglesi nel periodo compreso tra i due conflitti mondiali. Il nostro compito è quello di naturalizzarla progressivamente. Per questo pianteremo anche dei lecci, piante tipiche dell’ambiente mediterraneo. Cosa che avverrà con gradualità».

Come si è arrivati a lei come direttore?

«Nel 2014 il Comune ha pubblicato un bando che è stato vinto da me con un ampio margine rispetto agli altri partecipanti. L’incarico mi è stato affidato intorno alla metà del 2015. Io vivevo a Siena ma da tre mesi mi sono trasferito a Taranto, città che amo e conosco benissimo. Ci sono tanti progetti da seguire a cominciare dall’Ecomuseo (avviato da altri, ndr) che vede il Comune come partner e rappresenta un’opportunità di crescita per tutti. Si effettueranno visite guidate nell’Oasi, attività sportive nel mar Piccolo, birdwatching e ricerca scientifica. Alla fine si avrà una conoscenza a 360° dell’Oasi che gioverà a tutti: esperti e non».

Quali sono le peculiarità che rendono speciale questo luogo?

«Innanzitutto la presenza di ardeidi, famiglia di uccelli a cui appartengono gli aironi e le garzette. Trent’anni fa, per vedere colonie del genere, bisognava andare nella Pianura Padana e quindi raggiungere altre latitudini. Eppure, c’erano delle colonie che decidevano di fermarsi qui. Non si trattava di una sosta decisa durante la migrazione verso altri posti. Lo stesso dicasi per i Cavalieri d’Italia, diventati anch’essi stanziali in questa parte del mar Piccolo. La presenza di questi uccelli, oggi come ieri, è un messaggio beneaugurante. E’ un invito a darci da fare perchè il mar Piccolo non è assolutamente morto. E’ un mare ricco di vita e di tanto nutrimento».

Come si spiega questa vitalità della natura in un contesto drammaticamente segnato dall’inquinamento industriale come il nostro?

«Si spiega, in parte, col fatto che in mar Piccolo si riversano ogni giorno milioni di metri cubi di acque dolci grazie ai citri che permettono un continuo ricambio. Questa è una salvezza per il mar Piccolo, così come lo scambio con le acque del mar Grande. Abbiamo un ecosistema da estuario: uno dei più ricchi e produttivi della Terra, soprattutto dove c’è un clima temperato come il nostro. Qui si compie un vero e proprio miracolo della natura».

Il mar Piccolo ha anche un forte legame con la storia e con Sparta. E’ giusto ricordarlo alla vigilia dalla Spartan Race, la più grande corsa ad ostacoli del mondo che si svolgerà a Taranto il 29 e il 30 ottobre (leggi qui). Cosa avveniva a pochi passi da qui?

«Lungo il secondo seno del mar Piccolo c’erano delle grotte fredde, oggi chiuse, dove gli spartani conservavano il vino. Quello di Taranto era considerato, in assoluto, il vino più buono del Mediterraneo. D’altronde,  fino a qualche anno fa, il ceppo del primitivo veniva definito dai nostri contadini “l’alberello greco”. Il vino degli spartani era custodito bene e si manteneva freddo anche d’estate, senza subire alterazioni».

Come valuta la convivenza tra le bellezze naturali del territorio e la grande industria? Si può continuare così?

«Io per il futuro auspico un progressivo ridimensionamento dell’Ilva fino alla chiusura. Quando l’Italsider era statale e cominciò a mandare a casa i baby pensionati, oltre venti anni fa, io feci una proposta: impegnare i dipendenti non pensionabili nello smantellamento degli impianti e nella bonifica dell’area. Ci sarebbe stato lavoro per altri 20-30 anni. Venticinque anni fa, l’Ordine degli Architetti organizzò un convegno invitando urbanisti di grande valore, scienziati e ingegneri della Ruhr che ci spiegarono le attività di riconversione avviate in Germania. Fu una settimana bellissima».

E in attesa che gli auspici si compiano, la Palude “La Vela” è pronta a raccogliere altre sfide. Ne parleremo presto, convinti più che mai che solo partendo dalla completa valorizzazione delle bellezze naturali, culturali e storiche del nostro territorio, potremo regalarci un’altra Taranto.

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