A Taranto la politica ha fallito. Devono prenderne atto gli amministratori e il sindaco Ezio Stefàno prima di tutti. Disoccupazione record, crisi del commercio, moria di imprese che falliscono. A questo aggiungiamo il calo demografico che dura da anni, dovuto soprattutto ai giovani che preferiscono studiare e cercare lavoro altrove. Non ultimo, anzi forse concausa di tutti i guai, l’inquinamento e il grave rischio sanitario che ci colpisce più di quanto tollerabile.
Ci chiediamo quale è stato il progetto per Taranto in questi ultimi dieci anni? Taranto non è città da “normale amministrazione”, non è facile da governare ed è necessario, più che altrove, che la politica detti delle linee programmatiche coraggiose e di rottura col passato. In questi anni abbiamo invece assistito ad una politica di governo della città troppo debole, incapace di decidere, ma brava ad assecondare il lento e inesorabile declino sociale, culturale ed economico.
L’attuale sindaco Stefàno finirà a breve il suo mandato e si fa fatica a ricordare qualche sua mossa “forte” nei dieci anni in cui ha retto politicamente la città. Solo “ordinaria amministrazione” e ruolo di pura rappresentanza negli incontri istituzionali con Regione e Governo. Qualche lieve protesta espressa alle istituzioni centrali con le ormai famose “letterine” in occasione dei ripetuti allarmi sanitari e degli incidenti sul lavoro.
Una politica ambigua quella del sindaco, tentennante nell’indicare una via di uscita alla grave crisi che attraversa Taranto. La sua presenza nei vari tavoli di confronto col governo è sembrata prettamente notarile, accomodante verso le imposizioni dettate a livello ministeriale e governativo, come se a guidare Taranto fossero sempre altri. Su Tempa Rossa, Ilva, bonifiche, porto, piano sanitario, piano per Taranto, a decidere sono stati il Governo e la Regione e basta. Anche quando, come nel caso Tempa Rossa, il consiglio comunale si è espresso con pareri negativi al progetto, non vi è poi stata la forza politica di far valere queste scelte sui vari tavoli nazionali.
Sicuramente questa debolezza ha facilitato il ruolo di uno “Stato padrone” che ha gestito la questione Taranto considerando prevalentemente l’aspetto economico e strategico delle attività ivi destinate, prescindendo completamente da aspetti di opportunità ambientale e sanitaria. Un sindaco pediatra avrebbe dovuto essere in prima linea per pretendere prima di tutto la tutela dei bambini.
L’ordinanza con cui nel 2012 il sindaco vietava l’accesso alle aree verdi dei Tamburi, in un contesto in cui le caratterizzazioni evidenziavano criticità diffuse, fu una decisione drammatica nel suo significato anche simbolico e doveva indurre Stefàno a pretendere una svolta vera per Taranto, un cambio di strategia per la città. Un sindaco pediatra non doveva credere alla favola dell’ambientalizzazione che, nell’assurda ipotesi che davvero si realizzasse, richiederebbe comunque tempi decennali, incompatibili con la capacità di resistenza di una città già stremata.
In questi dieci anni di amministrazione abbiamo assistito allo stravolgimento delle attività di mitilicoltura, alla distruzione di tante attività legate all’allevamento, a varie emergenze legate all’inquinamento e soprattutto alla più chiara conoscenza del danno sanitario (particolarmente drammatico proprio nei bambini) nei quartieri più prossimi alla grande industria. Già questo avrebbe dovuto portare il sindaco a mettersi alla testa dei cortei di protesta contro le decisioni governative che in questi anni hanno guidato Taranto.
E se l’emergenza ambientale e sanitaria non fossero state sufficienti per abbandonare qualunque tentennamento da parte del sindaco, la grave crisi economica avrebbe dovuto convincerlo che Taranto doveva cambiare rotta, tentando di liberarsi da quella cappa (non solo figurata) imposta dalla grande industria.
Non sono bastate le proteste e neanche le proposte a modificare l’ambigua e timorosa linea della nostra amministrazione comunale. Ora che siamo quasi alla fine del secondo mandato amministrativo, ora che l’imminenza dell’abbandono del suo ruolo politico lo rende più libero di svincolarsi da qualunque accordo istituzionale, ci aspettiamo un suo atto di coraggio, rivoluzionario e di denuncia della grave situazione di Taranto.
Vorremmo che Stefàno, come suo ultimo atto da primo cittadino, dichiarasse il fallimento della politica a Taranto denunciandolo nei tavoli governativi e regionali, esprimendo quindi il disagio e l’ingiustizia nei confronti di scelte piovute dall’alto che non è riuscito a impedire (per convinzione o per debolezza). Così, il sindaco avrebbe l’opportunità di riconciliarsi con una città che in gran parte aveva creduto in lui, al suo ruolo di pediatra e al simbolo di riscatto che rappresentava. Un ultimo atto di denuncia forte e sincera, un pentimento finale per riabilitarsi con se stesso e con gli altri e lasciare – se non altro – un ricordo diverso.
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