Il deserto del cuore: ciò che si nasconde dietro l’incapacità di amare

I rapporti affettivi non sono mai una cosa semplice e naturale perché, che ci piaccia o meno, si rivestono di tutti i nostri vissuti personali, delle nostre esperienze passate e dei condizionamenti ricevuti nell’infanzia, nonché di uno schema relazionale-familiare che determina non poche dinamiche all’interno della coppia. E se appare scontato dire che se non si è in grado di amare se stessi, nel vero senso della parola, non si è e non si sarà mai capaci di amare veramente gli altri e nello specifico il partner, vale comunque la pena ripeterlo e spiegare meglio a cosa facciamo riferimento.

Se, ad esempio, da piccoli abbiamo vissuto in un clima familiare freddo, distaccato, fatto di azioni solo necessarie e mai volutamente gentili, emozionali, se quindi, tanto per semplificare e sintetizzare, siamo stati poco amati o comunque poco accarezzati, considerati, ben voluti e incoraggiati, da adulti faticheremo a mettere in atto comportamenti completamente opposti a quelli a cui siamo stati abituati ma che soprattutto crediamo di meritare e che altri meritino. Anche se potranno verificarsi delle piccole varianti, quello comunque resterà lo schema fondamentale che conosceremo e che sapremo applicare. Ma anche quando le relazioni familiari sono state amorevoli e ci hanno fornito di una buona scorta di autostima e di sentimenti positivi, durante le nostre prime esperienze sentimentali possiamo vivere grosse delusioni, che bloccheranno poi la nostra affettività o la disponibilità ad aprirci ad esperienze nuove con l’entusiasmo e la gioia dei vent’anni.

Sia in un caso che nell’altro si possono sviluppare delle tipologie relazionali particolari, che comunque avranno ben poco a che fare con l’amore, anzi inaridiranno il cuore e le potenzialità di crescita emotiva. Può innescarsi, ad esempio, la cosiddetta sindrome del “Don Giovanni” (o della “Don Giovanna”). Vogliamo conquistare ad ogni costo chi apparentemente ci rifiuta o mostra disinteresse per poi deporre le armi e fuggire quando l’amore e il coinvolgimento sbocciano, perché non riconosciamo più come degna di noi o familiare a noi tale condizione. Ciò che in realtà ci motivava davvero era solo il dover lottare per qualcosa, che ci è stato negato, perché questo è uno schema comportamentale a cui siamo abituati, ma essere grati e godere del bottino espugnato, no, questo non sappiamo farlo.

Quando c’è uno schema familiare limitante che continua a condizionarci, ma anche una forte paura di amare e di essere amati, possiamo rivolgere le nostre attenzioni a quelle storie cosiddette difficili o addirittura impossibili dove l’altro non sarà mai veramente nostro. In questo modo, ripercorriamo uno schema noto e nello stesso tempo ci proteggiamo dal doverci assumere una responsabilità.

In altri casi, si può essere anche bravissimi a fingere di amare. Riusciamo ad essere premurosi, attenti, comprensivi e affettuosi. Ogni gesto, sguardo e comportamento parla di noi come di una persona innamorata e amorevole, tuttavia, dentro resta il vuoto, il silenzio, il deserto. Se ci chiedono, ami il tuo compagno o la tua compagna? Si risponde con un “ni” o con “so”. Si ha difficoltà a capire se siamo realmente coinvolti emotivamente.

Abbiamo appreso un modello comportamentale perfetto per le nostre relazioni ma che resta privo della sua vera essenza. Anche qui può esserci una sfera emotiva non sviluppata o un blocco dovuto ad esperienze pregresse. Di certo ci si difende da eventuali delusioni o abbandoni. L’altro o l’altra, se mai dovessero prendere il largo, non faranno poi tanto male, perché si recitava solo un ruolo, il coinvolgimento era minimo e si potrà ricominciare da qualche altra parte senza troppi drammi.

Dunque, il deserto nel cuore non è mai completamente consapevole o comprensibile e assume tantissime sfumature. Mentre crediamo di amare o di relazionarci in modo ovvio e a seconda della persona che incontriamo, in realtà agiamo in automatismo in base a tutto questo bel po’ di bagaglio che ci portiamo dietro e da cui probabilmente non ci libereremo mai se non prendendo piena coscienza di ciò che facciamo e perché e decidendo di lasciare al passato l’intera nostra zavorra per vivere finalmente in modo nuovo e pieno. Tanto non ci si potrà preservare costantemente e in eterno dalle sofferenze. Accettiamo le sconfitte, le delusioni come parti integranti e di crescita dell’esistenza, perdoniamoci per non essere perfetti e andiamo avanti dando il massimo e poter dire alla fine: ho vissuto.

A cura di Elisa Albano

Psicologa – Scrittrice

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Elisa Albano

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