TARANTO – Abbiamo affrontato in un precedente articolo (leggi qui) il tema dei reperti archeologici, spesso di rilevante interesse, provenienti da Taranto e sparsi in vari musei del mondo. Tale fenomeno derivava da una mancanza di leggi che in particolare tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento tutelassero il patrimonio archeologico impedendone la vendita a collezionisti e musei. Solo nel 1939, con la Legge 1089 del 1 giugno (leggi qui), lo Stato cercò di porre fine a tale commercio che, soprattutto nel Meridione, disperdeva un patrimonio storico e culturale di importanza universale.
Taranto, fino ad allora, insieme a Napoli e Roma, era stata l’El Dorado per i trafficanti di oggetti antichi e per gli antiquari. Ciò che veniva recuperato durante gli scavi per la costruzione del Borgo e in generale in qualunque sottosuolo diventava legittima proprietà del titolare del terreno. Lo Stato poteva al massimo, tramite i suoi rappresentanti, proporre l’acquisto dei reperti più interessanti, ma senza alcuna imposizione. Molto spesso la proposta di acquisto veniva rifiutata poiché il commercio con gli antiquari e con i collezionisti rendeva molto di più. La legge del 1939 istituì l’obbligo di confisca dei reperti archeologici a fronte di un risarcimento fino ad 1/4 del valore ai proprietari dei suoli in cui si trovassero appunto i beni sequestrati.
Quest’ultimo, infatti, come riportano le cronache di allora, nel 1885 sposò proprio Caterina, la figlia di Carlo Cacace. Un difensore del patrimonio archeologico che quindi si imparentò proprio con chi col commercio di reperti faceva grandi affari. Questo nulla tolse ai grandi e meriti di Luigi Viola a cui si devono importanti scoperte archeologiche quali quelle della cinta muraria nei pressi del Mar Piccolo e della Cripta del Redentore, oltre che al suo adoperarsi per la nascita del museo archeologico, un embrione di ciò che poi diventerà l’attuale MarTa. Ma nulla poteva fare Viola, proprio per la mancanza di leggi e forse perché il commercio di reperti era prassi, per fermare il suocero nei suoi affari.
Non potendosi per l’ora tarda lasciare tutto sul posto, così come era stato rinvenuto, i vasi di argento furono immediatamente, per cura dello speciale incaricato del sig. Cacace, nè forse con tutte le precauzioni possibili, presi e trasportati allo studio commerciale del sig. Cacace medesimo. Trovandomi in Taranto per una missione affidatami da S.E. il Ministro, ebbi premura di recarmi la mattina appresso allo studio del sig. Cacace, ove in assenza di lui, il suo socio sig. Augusto Roncalli mi mostrò cortesemente il fortunato trovamento, e si mise gentilmente a mia disposizione affinché io e il soprastante E. Caruso, che mi accompagnava, potessimo ripulire alla meglio della terra gli oggetti, ed esaminarli. Fu anche interessato il proprietario a concedere il permesso di prendere fotografie dei pezzi rinvenuti, le quali, secondo le disposizioni date dal sig. Cacace, furono eseguite dal fotografo sig. R. de Liguori di Taranto”.
Segue una precisa descrizione degli argenti ritrovati a cui rimandiamo nel link sottostante e si conclude: “Le forme, gli ornati, la scelta dei soggetti ed il gusto dell’esecuzione, ci conducono ad un tempo che dall’età ellenistica può scendere sino alla romana. Ma le condizioni del trovamento escludono la relazione con lo strato romano. Gli oggetti descritti sono stati rinvenuti tutti insieme, a m. 0,50 sotto un forte pavimento romano di grossolano mosaico (comunissimo nel borgo di Taranto), il quale ricopriva il sottosuolo per più metri in ogni senso, e non poteva essere stato costruito se non da chi ignorava l’esistenza degli argenti quivi appunto sepolti.
Non v’era traccia di volta o d’altra costruzione sottostante al pavimento, che potesse far supporre trattarsi di una specie di cantina che servisse di ripostiglio all’abitazione romana. È anzi da tener conto del fatto che sullo strato romano il detrito di tanti secoli non aveva accumulato se non altri 60 soli cm di terra. A me pare dunque trattarsi piuttosto di un tesoretto seppellito nell’età ellenistica, dentro qualche cesta o cassetta di legno che l’azione del tempo e dell’umido ha distrutta. Certo lo stile delle figure, specialmente nei medaglioni dei piatti, è ancora così nobile che non disconverrebbe neppure alla fine del secolo IV avanti l’era volgare”. (leggi qui)
Abbiamo chiesto notizie alla prof.ssa Giovanna Bonivento Pupino, esperta in argenti Tarantini che purtroppo ci conferma che del “tesoro Cacace” si sono perse completamente le tracce. Ella stessa ha avuto modo di recarsi al Louvre e di chiedere notizie di questi importanti reperti alla Direzione che ha però dichiarato di non esserne mai entrata in possesso, smentendo così notizie pubblicate in Italia al riguardo. Nulla esclude che prima o poi gli argenti torneranno a galla in qualche collezione o museo, ma per ora il mistero resta e con esso il rammarico per ciò che Taranto si è vista sottrarre della propria storia antica. E magari questo articolo riuscirà a farci scoprire la verità. Chi è in possesso di elementi utili a svelare l’arcano può contattarci qui: info@inchiostroverde.it.
Il tostapane è uno di quegli elettrodomestici che, senza ombra di dubbio, ci mette più…
Dato che il Natale si avvicina sempre di più, è il momento di rimboccarsi le…
Le polpettine alla Nutella sono il dessert più buono che potrai mangiare in questo periodo…
Italiani ancora sotto stress, ma questa volta possono tirare un sospiro di sollievo grazie al…
Presta molta attenzione alle uova che porti a casa: se trovi questi codici, è meglio…
È cominciato il conto alla rovescia per i pagamenti relativi alla tredicesima. La data ufficiale…