E’ una storia emblematica quella dell’anfiteatro romano. Ci parla di una Taranto che ha preferito occultare il proprio patrimonio storico ed archeologico anziché valorizzarlo, troppo ripiegata su se stessa per seguire il buon esempio fornito anche da realtà vicine come Lecce. Lì, in piazza Sant’Oronzo, il monumento venne scoperto durante i lavori di costruzione del palazzo della Banca d’Italia, effettuati nei primi anni del Novecento. Le operazioni di scavo iniziarono quasi subito, grazie alla volontà dell’archeologo salentino Cosimo De Giorgi, e si protrassero sino al 1940. Attualmente è possibile ammirare solo un terzo dell’intera struttura, in quanto il resto rimane ancora nascosto nel sottosuolo della piazza dove si ergono alcuni edifici e la chiesa di Santa Maria della Grazia.
«Come ogni città romana, anche Taranto ha avuto un anfiteatro come centro di aggregazione – racconta l’archeologo Alessandro Viesti nella pagina Facebook del Museo Nazionale Archeologico – nonostante, al momento, siano scarse le tracce visibili di questa struttura, sin dalla fine dell’Ottocento numerosi sono stati i rinvenimenti archeologici che attestano la presenza dell’edificio adibito agli spettacoli nella città di Tarentum. In primis, il toponimo “via Anfiteatro” è di sicuro l’indizio che maggiormente ci induce a ricercare in quell’area la struttura».
«Tralasciando le misure di cui ci parla l’archeologo, si può ipotizzare lo spazio complessivo occupato dalla struttura – spiega Viesti – l’asse minore dell’arena è di 49,35 metri, quindi la lunghezza complessiva dell’asse del monumento è di scarsi 100 metri. I rinvenimenti si sono poi susseguiti nel tempo, in particolare negli anni a cavallo tra il 1961 e il 1963. In questo periodo furono messi in luce ulteriori lacerti murari in opera reticolata che confermano la presenza della struttura». L’ultimo rinvenimento risale al 2005 quando è stato possibile esplorare la parte più bassa (la cosiddetta ‘ima cavea’) dell’anfiteatro, “verosimilmente ancora in opera fino alla chiave di volta della copertura per un’altezza di circa 7 metri”. Queste informazioni fanno supporre che la struttura fosse imponente e molto frequentata.
Un auspicio che avremmo sottoscritto volentieri, ma la storia (soprattutto quella recente) ci racconta un altro epilogo. Dopo essere stato occultato per decenni da edifici ed un mercato coperto, oggi l’anfiteatro romano deve sottostare alle strisce blu di un parcheggio a pagamento voluto dall’Amministrazione comunale.
«Non chiediamo in modo pregiudiziale che i lavori si blocchino – affermarono Angelo Quibrino di Legambiente e Gaetano Barbato del Wwf – chiediamo che di fronte ad un fatto nuovo qual è quello dei ritrovamenti archeologici del vecchio anfiteatro, le istituzioni di questa città abbiano il coraggio di fermarsi giusto in tempo per capire, confrontarsi, far capire alla città di cosa si tratta, prospettare le varie soluzioni, scegliere la migliore, esplicitando a quali valori e priorità fa riferimento la scelta». E profeticamente aggiunsero: «La decisione che verrà presa riguardo all’anfiteatro sarà una scelta difficile quanto importante anche per il futuro stesso della città. Questa vicenda, pur nel suo piccolo, è metafora di ciò che sarà e vorrà essere Taranto nei prossimi anni».
Il fronte pro anfiteatro vide schierata anche la sezione di Taranto della Società di Storia Patria che non esitò a mandare una lettera all’allora ministro per i Beni e le Attività Culturali, Giuliano Urbani. Anche questo tentativo non sortì gli effetti sperati. Ma cosa ha impedito che la piena emersione dell’anfiteatro romano diventasse realtà come accaduto in altre città probabilmente meglio amministrate? Ne parleremo nella seconda parte del nostro approfondimento.
Foto: Taranto, Anfiteatro romano. Scavi del 1963 (da E.Lippolis, ‘Fra Taranto e Roma’, Ed.Scorpione, 1997, pag. 147).
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