La guerra del grano: anche gli agricoltori tarantini oggi protestano a Bari

TARANTO – Le prime avvisaglie sul rischio di un’annata negativa per i produttori pugliesi di grano si erano avute già a marzo, molto in anticipo rispetto alla maturazione e alla raccolta di questo cereale in Italia. Già in quel mese, infatti, decine e decine di migliaia di tonnellate di questo prezioso ed essenziale prodotto agricolo, per mezzo di grandi navi cisterna, erano giunte nel porto di Bari, provenienti da vari paesi del mondo e in particolare dal Messico. Questo aveva immediatamente portato ad un crollo delle quotazioni del grano: un quintale veniva allora acquistato a circa 23 euro. Una riduzione di oltre il 30% rispetto ai normali prezzi di mercato.

Già allora la Coldiretti e altre associazioni agricole di categoria avevano duramente protestato chiedendo misure di tutela per il grano prodotto in Italia. La situazione, con il passare dei mesi, è ulteriormente peggiorata e ormai non passa settimana che enormi navi non scarichino nel porto di Bari migliaia di tonnellate di frumento tenero e grano duro. Nel 2015 l’Italia aveva importato circa 7 milioni di tonnellate, coprendo in questo modo circa il 45% del proprio fabbisogno. La produzione interna e’ stata, nello stesso anno, di circa 8 milioni di tonnellate. Rilevante, per quantità prodotte, la provincia di Foggia, detta “il granaio d’Italia”.

Si svolge oggi a Bari  una manifestazione di protesta sul Lungomare Nazario Sauro, di fronte al Palazzo della Regione, organizzata da Coldiretti. Circa 600 agricoltori tarantini manifesteranno insieme ai loro colleghi delle altre province pugliesi. Abbiamo sentito il Presidente di Coldiretti Taranto Alfonso Cavallo sui motivi della protesta di tanti produttori di grano anche del nostro territorio. Le ragioni sono da ricercarsi soprattutto nella mancanza di regolamentazione sulle importazioni di questo cereale.

Dice Cavallo: “Il mercato del grano, e non solo, è ormai una giungla senza regole. Siamo ormai a livelli così esagerati di importazioni che il prezzo a cui mediatori e grandi industrie acquistano il grano sono diventati tanto bassi da renderne sconveniente la coltivazione. Il rischio è che migliaia di ettari coltivati anche con grani di elevata qualità vengano addirittura abbandonati. È un rischio che porterebbe alla desertificazione di un territorio (si pensi alle zone della Murgia tarantina) oppure a situazioni di dissesto idrogeologico per la conseguente mancanza di cura del territorio”.

“A beneficiare del crollo del prezzo del grano sono stati esclusivamente – ci spiega Cavallo – grandi mediatori e grandi aziende alimentari. Ulteriore beffa, questa volta per i consumatori, è che, malgrado le riduzioni di oltre il 30% della materia prima grano, pane e pasta non hanno subìto alcuna riduzione di prezzo. Attualmente, lamentano gli agricoltori, le importazioni di grano sono praticamente libere, non regolamentate da leggi che in qualche modo tutelino produzione italiana che garantisce sicuramente maggior controllo della filiera e quindi maggiore sicurezza per i consumatori.

I maggiori costi di mano d’opera e la maggiore tassazione rendono i produttori nostrani meno competitivi rispetto a quelli dei mercati esteri. La mancanza di obbligo da parte delle aziende di pasta e altri farinacei di indicazione di provenienza del grano da esse utilizzato non favorisce il consumatore che volesse scegliere consapevolmente il prodotto da acquistare e innesca una spirale di discesa del prezzo del cereale sempre più nefasta per gli agricoltori italiani. Il prezzo del grano lo fanno, in pratica, le grandi multinazionali: i piccoli produttori possono solo adeguarsi, se ci riescono, o sospendere la produzione.

Abbiamo chiesto al Presidente Cavallo quali possono essere, a suo giudizio, le soluzioni. “Chiediamo una legge che tuteli la produzione italiana, per esempio con l’introduzione dell’obbligo, da parte delle aziende alimentari, di indicare il luogo di origine della materia prima grano – risponde – i nostri agricoltori devono poi sempre più aiutarsi a vicenda, con la creazione di consorzi e cooperative che raggiungano dimensioni tali da avere maggior potere contrattuale nei confronti delle grandi aziende. Si devono poi mettere in atto strumenti e iniziative per valorizzare maggiormente la qualità eccellente di alcune qualità di grano di cui il consumatore attento ed esigente è sempre più alla ricerca”.

In effetti, la qualità è senza dubbio la strategia vincente. Pensiamo, per esempio, al grano Senatore Cappelli che è un prodotto tipico originario del nostro territorio (Martina Franca) e che potrebbe conquistare maggiori fette di mercato garantendo redditività adeguata ai produttori. Il crollo del prezzo del grano non è l’unico problema degli agricoltori pugliesi e in generale italiani. Molto simile a quella del grano, per l’importazione massiccia e senza regole, è la situazione del mercato del latte e dell’olio. Anche qui crollo dei prezzi e mancanza di tutele per i consumatori sulla tracciabilità della filiera che porta fino in tavola prodotti lavorati con materie prima provenienti da chissà quali paesi d’origine.

In Italia, negli ultimi cinque anni, hanno chiuso il 50% degli allevamenti. Tre mozzarelle su quattro vengono prodotte con latte importato dall’estero e per la Puglia non è certo un bel dato. Agricoltori e consumatori dalla stessa parte, quindi per difendere prezzi e qualità dei prodotti contro lo strapotere delle multinazionali che ormai pretendono di controllare le filiere alimentari a loro piacimento. L’obiettivo è cercare di non penalizzare ulteriormente una agricoltura che è, in generale, un settore trainante dell’economia (anche nel tarantino) e che, inoltre, garantisce la manutenzione del territorio.

Giuseppe Aralla

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