Ilva, sciopero Usb. Rizzo: «Dopo quattro anni e dieci decreti la situazione è peggiorata»

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Quattro anni fa il sequestro degli impianti che «provocano malattia e morte» e le manette scattate ai polsi per alcuni degli indagati nell’inchiesta sul disastro ambientale provocato dall’Ilva di Taranto. Ambiente Svenduto. La firma sui provvedimenti è del gip Patrizia Todisco, è la fine di un’epoca per la famiglia Riva e per la rete di gestione e controllo del siderurgico e l’inizio di quella che doveva essere una storia nuova per la difesa e la tutela della salute di operai e cittadini, dell’ambiente e del lavoro.

«L’intervento della magistratura scoperchiò il vaso di pandora e mise a nudo tutte le criticità che quello stabilimento aveva creato, in modo drammatico, sia a livello ambientale che sanitario». Quattro anni dopo a parlare è Francesco Rizzo, coordinatore provinciale Usb Taranto, mentre sfila con gli operai fuori dalla fabbrica. Con lo sciopero di 24 ore e la manifestazione di oggi «- e la data non è un caso, aggiunge Rizzo – vogliamo dire che dopo quattro anni e dieci decreti la situazione non è cambiata, anzi, è peggiorata». E lo hanno detto sfilando dalla portineria A della fabbrica fino cancelli dell’Eni, dove il corteo è arrivato srotolando uno striscione su cui era scritto: “La salute, l’ambiente e i lavoratori non si affittano e non si vendono”.

2Perché proprio l’Eni? «Perché il problema di Taranto non è solo l’Ilva ma anche Eni e arsenale militare e perché il presidente dell’Eni, Emma Marcegaglia, grande amica del premier, rappresenta una delle cordate in campo per acquisire l’Ilva di Taranto». Una testimonianza diretta del clima di incertezza che i lavoratori vivono quotidianamente, portata al cospetto di chi avrebbe in mano un pezzo del loro futuro. «È stata una bella manifestazione, anche lo sciopero è andato bene: prevediamo che nel corso della giornata possa coinvolgere tra le 500 e le 600 persone». Rizzo commenta così l’adesione alla giornata di protesta, con una battuta che richiama altre circostanze: «È un buon risultato: se parliamo di numeri, gli unici nello stabilimento a fare i numeri sono stati i Riva…con loro sono scesi in strada 8mila lavoratori, il 30 marzo del 2012».

Ma in strada questa volta ci sono quei lavoratori che «hanno detto basta ai decreti del governo perché non hanno prodotto nulla. Mai una parola – affonda Rizzo – è stata spesa per i lavoratori. Eppure lo studio “Sentieri” parla di aspettativa di vita per i lavoratori dell’Ilva più bassa rispetto alla media nazionale, per la diossina e per l’amianto, eppure non è mai stata presa in considerazione una legge ad hoc per incentivare la pensione». Con il decimo decreto e l’immunità prevista per gli acquirenti «si ripropone lo stesso schema con cui lo Stato regalò lo stabilimento ai Riva: la differenza con Arvedi è che lui non andrà in galera ma verrà a spremerci lo stesso come limoni».

Dunque per Rizzo e l’Usb non si dovrà fare nessun regalo ai privati, com’è accaduto in passato: «Se non sono capaci di ambientalizzare la fabbrica allora la chiudano, ma serve un progetto di riconversione. Servono nuove tecnologie e investimenti pubblici, ecco perché siamo per la nazionalizzazione. Lo dice la storia, vedi Piombino: ci sono lavoratori in cassa integrazione, altri a zero euro e quelli che stanno lavorando, 200 su 2000, hanno uno stipendio ridotto del 30%. Non vogliamo che accada questo a Taranto e daremo battaglia».

A proposito di battaglia, Rizzo chiude commentando la visita a Taranto del presidente del consiglio Renzi, in programma venerdì: «Se viene e non ci riceve noi faremo casino perché non può permettersi di parlare con tutti tranne che con i lavoratori».

 

 

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