Ilva e salute, Taranto non può accontentarsi del rispetto dei limiti di legge

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Mettiamo che Taranto fosse stata fino ad ora un’oasi felice e disinquinata, che i suoi abitanti, seppur in riva al mare, avessero respirato aria di montagna, avessero mangiato cibi mai contaminati, avessero vissuto in un ambiente salubre, con prati verdissimi in cui gli animali pascolavano felici così come in un paesino delle Dolomiti.

Mettiamo pure che fino ad oggi i tarantini avessero vissuto di pesca, agricoltura, turismo, servizi, industria leggera e non inquinante. Immaginiamo, insomma, che Taranto fosse stata una città ideale, a misura d’uomo, una città esistente, purtroppo, solo nel mondo dei sogni. La salute dei cittadini sarebbe stata eccellente, l’incidenza di malattie cardiocircolatorie e respiratorie addirittura più bassa della media nazionale, come anche quella dei tumori.

In questa bellissima e idilliaca città, un bel giorno, a causa della carenza a livello nazionale di acciaio e di carburante, grazie all’altruismo dei suoi abitanti e alla lungimiranza dei suoi politici (una caratteristica sempre presente in chi ha governato Taranto), si decide di far nascere due grandi industrie a ridosso del centro abitato. In questo modo sarà più comodo per gli operai raggiungere il posto di lavoro che occuperanno in alternativa alle precedenti attività, consolidando le loro condizioni economiche, come solo il posto fisso può garantire.

A questo punto, prima di iniziare a costruire le industrie, i soliti ambientalisti oscurantisti e retrogradi chiedono alle autorità competenti, che impatto avranno su ambiente e salute le nuove attività e se vi sarà rischio per la popolazione. Riunitisi in camera di consiglio, politici, amministratori comunali, direttori generali e responsabili vari, studiano le normative attuali, le leggi nazionali e regionali e quindi, in nome della massima trasparenza, redigono, in base alle simulazioni, tabelle che rassicurano la popolazione: valori di emissioni nella norma a garanzia che le industrie non inquineranno. PM10, diossine, benzo(a)pirene, PCB, metalli, saranno emessi in quantità consentite.

Un lieve aumento dei casi di tumore sarà il prezzo da pagare, ma la popolazione lo accetterà volentieri. Infatti, solo 14.000 persone, si valuta, avranno un rischio aggiuntivo di 1:10.000 di ammalarsi di tumore in 70 anni di vita. Cosa volete che sia…! La falda, i terreni, il mare, probabilmente non si inquineranno mai e comunque gli organi preposti adotteranno tutti i controlli necessari ad impedirlo.

Peccato che non viviamo nella città dei sogni. E allora fa specie che le “autorità competenti” ragionino come se invece così fosse. Nelle valutazioni di rischio si considerano infatti esclusivamente i livelli attuali di emissioni, non considerando che esse, seppur nei limiti di legge, incidano su una popolazione stressata da anni, spesso decenni dall’assunzione di sostanze cancerogene e genotossiche capaci di provocare un aumento di tumori e altre malattie ben oltre le aspettative nazionali e regionali.

Tutto questo in un ambiente in cui, già ora, la falda è contaminata da metalli, il suolo e il mare da diossine e in cui le bonifiche saranno l’unico rimedio possibile per ripristinare (solo in minima parte) lo stato dei luoghi. Bisognerebbe cambiare metodo, non ragionare cioè come se vivessimo nel mondo dei sogni, rassicurando la popolazione sul rispetto dei limiti di emissioni. A Taranto, nella valutazione dei livelli attuali di emissioni, non si può ragionare esclusivamente sul rispetto della legge. C’è il peso di oltre cinquant’anni di inquinamento incontrollato che ha stressato ambiente ed esseri viventi, al punto tale che, probabilmente, i limiti da rispettare non sono quelli di legge, ma quelli del rispetto di un’intera comunità.

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