TARANTO – Tutti i riflettori sono puntati sulla Prefettura. Davanti all’ingresso c’è il presidio dei lavoratori Ilva in sciopero, in difesa di una piattaforma che rivendica una maggiore tutela sul fronte sanitario, ambientale e occupazionale. Al terzo piano c’è il via vai di delegazioni (Asl, Arpa, ambientalisti) convocate dagli eurodeputati della Commissione per l’Ambiente, la Sanità Pubblica e la Sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento europeo.
Tra i rappresentanti istituzionali c’è anche il sindaco Ezio Stefàno, che davanti ai giornalisti ammette candidamente di non aver ancora letto il testo del decimo decreto sull’Ilva, approvato ieri dalla Camera e in procinto di passare all’esame del Senato. Tra coloro che si sono presi la briga di valutare il testo del provvedimento ci sono alcuni rappresentanti sindacali, per niente soddisfatti del percorso intrapreso dal Governo e supportato dalla maggioranza parlamentare.
«Noi vogliamo una clausola sociale in grado di tutelare tutti i posti di lavoro e non gli adeguati livelli occupazionali come previsto da questo decreto – sottolinea La Neve – e poi chiediamo garanzie per gli operai in merito al rischio cancerogeno e una maggiore salvaguardia della salute per tutti i cittadini. Per questo abbiamo chiesto di potenziare le strutture sanitarie, invece lo Stato pensa a chiuderle o a ridurle». In merito ai futuri acquirenti dell’Ilva, La Neve esprime un auspicio: «Non tifiamo per nessuna delle due cordate in campo, l’importante è che prevalga una cordata in grado di mantenere sia i livelli occupazionali che la salvaguardia ambientale».
«Non ci sono sufficienti garanzie – spiega – inoltre riteniamo scandaloso lo scudo giudiziario che viene esteso dagli attuali commissari anche ai futuri acquirenti del siderurgico. Si tratta di condizioni inaccettabili. Per questo proseguiremo con la mobilitazione insistendo sui contenuti della piattaforma rivendicativa». Dubbi permangono anche sulle prospettive offerte dalla due cordate: «ArcelorMittal (con Marcegaglia, ndr) dice di voler portare la produzione a 6 milioni di tonnellate di acciaio in due-tre anni. Ciò significa eliminare i costi fissi e ricorrere agli esuberi. Inoltre, non vuole fare nulla dal punto di vista ambientale. In questo caso, siamo davanti ad una multinazionale che detta le linea al governo. Dall’altra parte c’è Arvedi che come un venditore di pentole dice di voler portare la produzione a 12 milioni di tonnellate. Nessuna delle due cordate ci pare credibile».
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