Ilva, Caramia: “Coraggio, la fabbrica va chiusa senza se e senza ma”

E’ arrivata anche a noi la lettera aperta di Antonio Caramia, ex presidente dell’Associazione degli Industriali di Taranto, che si allinea alle richieste del mondo ambientalista chiedendo la chiusura dell’Ilva. Di seguito il testo integrale.

Taranto soffre. Soffre la sua economia e soffrono i suoi cittadini. Il sogno siderurgico con le migliaia di posti di lavoro si è affievolito anzi, va spegnendosi del tutto. La città-fabbrica si è bruscamente risvegliata ed è passata dal sogno all’incubo del registro tumori che ogni giorno ci consegna malattie e morte.

Non può essere questo il futuro di Taranto e dei tarantini. Non deve essere questa l’eredità che consegniamo a figli e nipoti. Se non daremo loro una speranza, se non imboccheremo con decisione e senza esitazioni la strada del cambiamento, li perderemo. Si allontaneranno per studiare o per cercare lavoro, come già oggi accade, e non torneranno più. E questo sarà l’impoverimento peggiore, quello che ci porterà in un tunnel lungo e buio per uscire dal quale trascorreranno moltissimi anni.

Pessimismo? Malinconia di un imprenditore con i capelli bianchi? Assolutamente no. In quasi cinquant’anni di attività ho attraversato tante difficoltà, ma mai come in questo momento ho avvertito l’assoluta mancanza di una prospettiva per la nostra comunità. Non temo le crisi, ne ho superate molte ed anche Taranto in passato lo ha fatto, mi spaventa, però, il vuoto che ci circonda perchè nel vuoto si può solo cadere più in basso.
Taranto, invece, può risalire: ha le risorse, ha le potenzialità, ha una favorevole posizione geografica, ha persone preparate. Il nostro territorio può imboccare una grande stagione di rinnovamento, di cambiamento, di rinascita.

E sarà un rinascimento economico, culturale, sociale che richiede buon senso e coraggio. Il buon senso di capire che per cambiare bisogna partire dal problema più grande: l’Ilva. Il coraggio di abbandonare un risanamento impossibile ed imboccare nuove strade. In altre aree dell’Europa e del mondo questo è accaduto ed ora quelle realtà prosperano e sono diventate modelli di uno sviluppo davvero eco compatibile.

Taranto non ripartirebbe da zero. Come Troisi nel suo celebre film ricomincerebbe da tre: la filiera agroalimentare e turistica; un sistema industriale diffuso; la logistica. Tre pilastri che, in parte, già esistono e che bisogna incentivare e sviluppare avendo ben chiari progetti e  risorse da attivare.

Diventa centrale, quindi, la selezione delle classi dirigenti. Diventa necessario fare la scelta migliore puntando al merito, alle competenze, alle capacità e, naturalmente, all’integrità di chi amministra la cosa pubblica. Qualcuno potrebbe indicare questo discorso come un discorso rivoluzionario, come un colpo di spugna o una boutade. A mio avviso si tratta di una necessità, dell’unica strada possibile.

Taranto deve mettere da parte le divisioni che in questi anni l’hanno dilaniata, deve ritrovare se stessa intorno ad un’idea, deve costruire una rete di rapporti e di alleanze per uscire dall’isolamento istituzionale in cui è stata relegata.

Uscire dall’isolamento significa in primo luogo ritornare ad essere artefici del proprio destino senza delegare a tavoli regionali e nazionali le scelte importanti, ma partecipando attivamente alle decisioni portando proposte concrete, progetti, ipotesi di finanziamento da risorse nazionali ed europee, senza trascurare il contributo fondamentale dei privati.  Il mare, il patrimonio storico, artistico e culturale, le infrastrutture, una vocazione industriale che va salvaguardata e riconvertita, sono gli assi portanti della nuova Taranto. Occorre solo avere coraggio: il coraggio di compiere la scelta giusta.

 

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