Taranto: scoprire l’amore per il bello per rilanciare il centro storico e le periferie
TARANTO – A Imola l’art street colora i muri di proprietà comunale, a Gubbio l’associazione di volontariato Cento Ramazze fa bello il paese senza l’aiuto delle istituzioni, a Pontassieve gli Angeli del Bello mantengono il decoro urbano, nel tarantino l’iniziativa “Crispiano in fiore” abbellisce e profuma le strade: sono centinaia in Italia le attività che hanno come obiettivo l’abbellimento dei luoghi urbani, delle strade, delle periferie.
Tanti cittadini partecipano direttamente al miglioramento estetico e funzionale della propria città o chiedono, a chi li governa, di intervenire con opere che guardino anche alla forma, oltre che alla sostanza, dell’habitat urbano. Il problema delle periferie degradate e anonime è comune a tantissime città, spesso cresciute a dismisura, come nel caso di Taranto, rispetto al nucleo originario. Viali lunghissimi con architetture abitative minime, con marciapiedi stretti e poco illuminati, spesso senza negozi, piazze, uffici.
Interi quartieri sono “dimenticati” dalle amministrazioni cittadine, più propense a riqualificare i nuclei abitativi storici e le vie centrali più ricche e movimentate. Sarebbe difficile distinguere le periferie di una qualunque città d’Italia, sia che si trattasse di Milano, di Bologna, di Napoli o di Taranto. Eppure, sul decoro urbano dovrebbero puntare tutti i sindaci delle città, non solo nelle zone più ricche, ma soprattutto nelle periferie. L’appartenenza ad un territorio, ad una città ha bisogno del riconoscimento del bello, dell’individuazione di riferimenti precisi, sia architettonici, artistici, culturali, che paesaggistici e ambientali.
Le nostre città sono sempre meno pólis, intese come luoghi caratterizzati da un governo del territorio espressione del sentire popolare, in parte autonomo e indipendente dallo Stato centrale, in cui il cittadino trova il suo ambiente di vita naturale, in cui le tradizioni sono tipiche e uniche rispetto ad altre città. La pólis greca era la città-stato, come la democratica Atene o la oligarchica Sparta; in esse il senso di appartenenza del cittadino alla comunità locale era esasperato, fino a divenire motivo stesso di esistenza e principio da difendere a tutti i costi.
Ognuno di noi ha un ideale inconscio di città che coincide con l’essenza o lo spirito di essa e che comprende i luoghi simbolici dell’urbs: il Municipio, la cattedrale, la piazza del mercato, il teatro. Marco Romano, nel suo saggio “La città come un’opera d’arte” intende la città come l’espressione di un’intera comunità, soprattutto dal Medioevo all’Ottocento. I centri storici, con i simboli architettonici di riferimento, rappresentavano la forma materiale della civitas. Dall’Ottocento in poi, con l’avvento dell’industrializzazione, è iniziata la speculazione anche edilizia. Si è persa l’espressione dell’urbs da parte della civitas e quindi il senso estetico che caratterizzava le città.
La speculazione ha preso il sopravvento e si è iniziato a costruire “brutte” periferie. Da Immanuel Kant a Renzo Piano, da Niccolò Tommaseo a Giò Ponti, filosofi e architetti hanno sempre considerato il bello come un’espressione di civiltà e di miglioramento delle società urbane. E se le periferie sono spesso luoghi dimenticati e anonimi delle grandi città, al contrario, quasi tutte le amministrazioni comunali hanno sempre messo a disposizione risorse economiche ed impegno per la ristrutturazione ed il mantenimento dei centri storici, ritenuti la memoria collettiva delle città che furono e luoghi da preservare e valorizzare. Le ultime elezioni amministrative, in tante città d’Italia, si sono decise soprattutto nelle periferie e i sindaci meno attenti nel renderle vivibili in genere sono stati puniti alle urne da parte di chi le abita.
Il cittadino delle zone periferiche vive spesso male la propria condizione abitativa. La periferia è spesso un quartiere dormitorio, quasi mai luogo di lavoro o di shopping. Nessun riferimento che richiami all’ideale di città; per qualunque esigenza i cittadini sono costretti a spostarsi in altri quartieri. Gli unici centri di aggregazione sono i bar, le sale gioco, i centri commerciali. Taranto, anomalia, insieme a poche altre città in Italia, vive, oltre la situazione di “dimenticanza” di alcuni quartieri periferici, anche il parziale degrado del centro storico.
Anzi, appare sempre più evidente ed inquietante l’allargamento delle periferie verso i quartieri più centrali. Con tutto ciò che ne consegue a livello di degrado. Città come Bari, Lecce e tanti paesi più o meno grandi, da Martina Franca a Oria, a Noci, a Ceglie Messapica, a Locorotondo, per citarne solo alcuni, hanno puntato tanto sui loro centri storici, ristrutturandoli, preservando le architetture e rendendoli centri vitali e luoghi di passeggio e spesso di offerta enogastronomica.
La Città Vecchia di Taranto è in tante sue aree molto degradata, eppure sono stati tantissimi, nei decenni scorsi, gli investimenti pubblici destinati al restauro e al recupero di essa. Si va dagli interventi maldestri di demolizione dell’era fascista che stravolsero il volto di una parte della città nella zona della discesa Vasto, al piano degli anni ’70 dell’architetto F. Blandino che mirava al recupero dell’intero tessuto urbano e che si concretizzò nel restauro di alcuni palazzi nobiliari della zona alta e case popolari della zona bassa, agli interventi con i fondi C.I.P.E. degli anni ’80.
Dal 2000 varie sono state le proposte di intervento e le consulenze richieste ad architetti anche di fama internazionale per ridare decoro al centro storico. Con i fondi europei URBAN II si è potuto effettuare il restauro di diversi palazzi di proprietà comunale che però, in molti casi, non hanno trovato una idonea destinazione d’uso, rimanendo così contenitori vuoti. Alcuni palazzi di grande pregio architettonico e storico, come il Palazzo D’Ayala Valva e Carducci sono addirittura in stato di abbandono e rischiano di essere depredati da ladri e vandali (leggi qui).
Nei decenni trascorsi, quindi, tanti investimenti nelle opere di restauro del borgo antico, interventi però che non hanno visto la conclusione di un vero e proprio piano di riqualificazione complessiva del tessuto urbano storico. Crolli, strade chiuse al transito, mancata valorizzazione di palazzi di pregio, spopolamento, sono i problemi che ancora permangono nella Città Vecchia e che sono ormai endemici. Negli ultimi anni, la presenza dell’Università nella ex caserma Rossarol e tante piccole iniziative private, dall’apertura di un caffè letterario piuttosto che di qualche ristorante tipico, altre iniziative imprenditoriali, hanno iniziato a rivitalizzare il Centro Storico che è tornato frequentato dopo essere stato per tanti anni zona off limits.
Iniziative culturali, notti bianche e associazioni quali, ad esempio, Nobilissima Taranto che promuove le visite guidate agli ipogei (un patrimonio storico e culturale di importanza eccezionale mai prima valorizzato), attraggono migliaia di tarantini che sempre volentieri invadono vicoli e palazzi storici. L’Isola oltre il ponte girevole è il luogo del cuore dei tarantini e per questo meriterebbe una maggiore attenzione e seria programmazione da parte delle amministrazioni pubbliche.
Una città, Taranto, cresciuta forse troppo, oltre quello che la popolazione, addirittura in calo negli ultimi quindici anni, richiederebbe. Quartieri staccati dal centro urbano come Paolo VI, Lama, Talsano, San Vito si sono espansi negli ultimi decenni, a causa soprattutto del trasferimento dal Borgo di tante famiglie, causando un enorme aumento di aree urbane impegnando il Comune in un dispendio di risorse pubbliche per la gestione dei servizi, strade, illuminazione, pulizia, fogne, manutenzione del verde. E, come accennavamo in precedenza, il degrado delle periferie e la mancanza di riferimenti urbani contribuiscono a far disamorare i cittadini del quartiere in cui vivono scoraggiando la crescita di un senso civico che è, invece, più presente laddove prevale il “bello”
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