Ilva, Slai Cobas: “Serve un’assemblea generale”

«Ora i sindacati confederali all’Ilva si ricordano che forse qualche informazione agli operai di quello che sta avvenendo sulla svendita della fabbrica, nuovo gravissimo decreto, e loro effetti pesantissimi su salute, sicurezza, garanzia dei salari, ambiente, la devono dare. E stanno programmando per i prossimi giorni delle assemblee per reparto o aree». Lo dice lo Slai Cobas avvertendo, però, che tutto ciò non serve: «Occorre, e gli operai più coscienti lo vogliono, un’assemblea generale, perché gli operai possano, non solo stare a sentire, ma imporre la loro visione della situazione e decidere loro cosa bisogna fare. I sindacati confederali non vogliono chiaramente questa assemblea generale che inevitabilmente si trasformerebbe in una loro forte contestazione da parte degli operai. Vogliono assemblee ristrette in cui poter tenere sotto controllo e di fatto divisi gli operai; mentre governo, commissari e cordate padronali stanno svendendo il futuro degli operai e della popolazione di Taranto».

Aggiunge il sindacato di base: «La situazione in fabbrica va sempre più peggiorando. Gli operai dicono che “siamo alle pezze”, “pezzi di ricambio zero”, e da un momento all’altro l’infortunio o l’incidente può succedere. Anche sul fronte salari siamo a rischio. I 300 milioni dati dal governo coprivano fino a fine giugno. Né il governo, a parte alchimie dell’ultimo momento, può dare altri soldi per l’andamento della fabbrica, e non per le bonifiche, senza incorrere nelle sanzioni della Comunità europea. Il 10° decreto è, se fosse possibile, il peggiore e più illegale fatto finora: concede l’immunità e quindi il via libera a violazioni sulla sicurezza, sull’ambiente, ai nuovi padroni, dopo averla già data ai commissari; rinvia nuovamente, e questa volta fino addirittura al 2019 le prescrizioni Aia (tra cui la copertura dei micidiali parchi minerali) – di fatto vuol dire non farle mai; permette, infatti, ai nuovi padroni di modificare il piano ambientale (cioè di peggiorarlo); toglie ai nuovi acquirenti l’obbligo di restituire i 300 milioni e altri debiti (che quindi pagherà lo Stato, cioè i cittadini); ripresenta la strada della newco – in cui sarà salvata solo una parte della fabbrica e gli operai passeranno con una novazione di contratto all’insegna del jobs act – e della badcompany – in cui saranno messi debiti, risarcimenti, spese ambientali “improduttive” e migliaia di esuberi operai. Senza la mobilitazione degli operai, gli ulteriori passaggi non possono che essere sempre più di attacco alle condizioni di lavoro, di salario, alla salute dentro e fuori la fabbrica».

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