Riceviamo e pubblichiamo la nota stampa di Lina Ambrogi Melle, consigliere comunale del Gruppo Ecologisti per Bonelli.
Il 10º decreto salva Ilva è la naturale conseguenza della rassegnazione dei tarantini e delle istituzioni locali ad accettare di barattare la vita e la salute con un lavoro pericoloso e “strategico” per l’Italia.
Questo 10º decreto legge, che rinvia ancora di altri 18 mesi l’attuazione di un piano ambientale già precedentemente depotenziato dando anche all’acquirente la possibilità di modificarlo ed estende l’immunità penale ed amministrativa concessa ai commissari del governo anche ai futuri acquirenti o fittuari dell’Ilva, e’ in linea con quelli che lo hanno preceduto: immorale perché mantiene in funzione impianti che creano malattie e morte come certificato dalle perizie epidemiologiche del Tribunale e confermato dallo studio Sentieri dell’Istituto Superiore della Sanità e dal Registro Tumori di Taranto, che proprio in questi giorni ci ha confermato la gravità della situazione sanitaria tarantina che presenta eccessi di malattie soprattutto oncologiche rispetto al resto della provincia e della media nazionale.
Il mio stupore assieme alla mia indignazione nacquero con la prima legge salva Ilva, la 231 del 2012 , con cui per la prima volta in Italia veniva restituita la facoltà d’ uso ad impianti sequestrati dalla magistratura perché pericolosi. Fu allora che mi convinsi che solo un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea di Lussemburgo ed un Ricorso alla Corte dei Diritti umani di Strasburgo potessero restituirci quel diritto alla vita ed all’integrita’ fisica garantito anche dalla Costituzione italiana oltre che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ma così violentemente calpestato a Taranto, città che ha la sfortuna di ospitare impianti altamente inquinanti e ” strategici ” per l’Italia.
Ho trascorso più di tre anni a chiedere ad associazioni e movimenti di intraprendere questi azioni, in quanto pensavo che potessero essere più efficaci rispetto a quelle di semplici cittadini, ma non sono stata ascoltata. Per questo , di fronte al susseguirsi vergognoso di continue leggi salva-Ilva che risolvevano ogni problema dell’azienda rendendo legale ciò che non lo era , ho voluto fortemente promuovere un ricorso collettivo alla Corte dei diritti umani di Strasburgo depositato lo scorso 21 ottobre 2015 ed in soli tre mesi, il 4 febbraio 2016, i nostri avvocati hanno ottenuto la trattazione prioritaria, concessa raramente e solo quando è a rischio la vita umana. Entro il prossimo 20 giugno lo Stato italiano dovrà difendersi davanti alla Corte dei diritti umani dall’accusa di non proteggere la vita e l’integrità fisica di noi tarantini.
A questo punto invito la città ad unirsi per riappropriarsi della propria dignità e reclamare con voce univoca quelle alternative occupazionali ed economiche che creeranno nuove opportunità di sviluppo secondo le vere vocazione di un territorio che ha grandissime potenzialità con la sua bellezza paesaggistica, la sua storia, le risorse del mare,l’ agroalimentare , il porto.
Chiediamo un rafforzamento delle strutture sanitarie per affrontare questa gravisima emergenza sanitaria in atto, l’Universita’ e le infrastrutture che garantiscano il diritto alla mobilità che purtroppo ci vengono ancora negati. E che si fermino immediatamente, come aveva ordinato il gip Todisco il 26 luglio 2012 (ossia ben quattro anni fa ), gli impianti pericolosi che causano due-tre decessi al mese e si facciano finalmente le bonifiche dei suoli, delle acque e dei mari che sono stati avvelenati. Taranto non può ancora aspettare e credere nelle “favolette” di una impossibile “ambientalizzazione”, Taranto deve ora avere una svolta immediata, senza più illusioni e delusioni.
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