L’esproprio dell’Ilva subito da Riva Fire è avvenuto in base a due perizie senza “attendibilità scientifica” e “probatoria” assunte dal Gip di Taranto, “senza contraddittorio con palese violazione dei più basilari cardini della Costituzione italiana e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”. Lo sostengono gli ex azionisti dell’Ilva nella memoria inviata alla DG Concorrenza Ue, in possesso dell’ANSA, sottolineando anche che i dati sull’inquinamento sono “aggregati” e sull’area insistono oltre all’Ilva “il petrolchimico di Eni” e Cementir.
La memoria di Riva Fire è stata inviata alla Direzione Generale della Concorrenza nel quadro del procedimento nei confronti dell’Italia per presunti aiuti di stato all’Ilva. L’ex azionista di maggioranza del gruppo Ilva è infatti soggetto interessato alla procedura ritenendosi soggetto leso da un’esproprio senza indennizzo e avvenuto in base a due perizie di «inconsistente valenza scientifica e probatoria».
Le risultanze epidemiologiche sarebbero prive «di ogni validità scientifica» perché «contravvenendo ai canoni della comunità scientifica (…) utilizza anche intervalli di confidenza dell’80%, laddove la letteratura è concorde nell’indicare la necessità di uno standard di confidenza non inferiore al 95%». In altre parole «gli estensori della perizia» hanno accettato di sbagliare 1 volta su 5 anzichè 1 volta su 20.
Inoltre – scrivono gli estensori della memoria – la perizia epidemiologica «formula stime di malattie e di decessi applicando un valore delle emissioni diverso da quello previsto dalla legge in vigore in Italia e pari a 40 micro-g/m3» usando il «valore obiettivo auspicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2006 pari a 20 micro-g/m3».
Al 2016 – si legge nella memoria – «l’Italia – come la grande maggioranza dei Paesi europei –non ha recepito tale indicazione lasciando a 40 microgrammi per metro cubo la media annuale dei Pm10 in atmosfera». Ancora con riguardo alle polveri sottili si legge nella memoria: «la perizia si limita a riportare un mero dato aggregato (…). Non è dato sapere quindi quale inquinamento derivi dall’Ilva e quale dall’arsenale militare o dal complesso petrolchimico di Eni o dai grandi stabilimenti di produzione di cemento, i quali tutti insistono sull’area circostante la città di Taranto»
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