Il PM 10 e il PM 2,5 non rappresentano soltanto materiale inquinante che a tonnellate, a partire dai primi anni ’60, si è sparso su Taranto e sui suoi dintorni, ma è anche una metafora delle difficoltà di una città oppressa dalla grande industria. Polvere, tantissima, trasportata dal vento nei campi, nel mare, nelle strade, nelle case, nei polmoni. Abbiamo imparato a conoscere gli effetti delle polveri sottili, della capacità di legare molecole genotossiche, dell’effetto allergizzante, della pericolosità legata alle dimensioni infinitesimali che esse hanno e che permettono loro di attraversare le barriere biologiche.
Conosciamo bene, forse addirittura meglio perché le vediamo, anche le polveri più grossolane, le polveri di minerale ferroso, quelle che colorano di rosa i palazzi dei Tamburi, le strade intorno all’Ilva e persino le lapidi del cimitero San Brunone, quelle che una calamita riesce ad attrarre magicamente. La polvere su Taranto cade, migliaia di tonnellate negli ultimi decenni, sedimenta su di noi e sulle opportunità che perdiamo. Così, rimaniamo fermi per colpa di una macchina del tempo impazzita. Pochi decenni sono bastati a cancellare secoli di tradizioni come se vivessimo l’incubo di una Pompei moderna.
L’eruzione c’è stata anche da noi, seppur non violenta ed improvvisa come quella del Vesuvio del 79 d.c. Un’eruzione che dura da oltre cinquanta anni. Siamo ricoperti da una cenere che rallenta i movimenti e rende meno sereno lo svolgimento del lavoro e delle altre attività quotidiane. Proviamo a scrollarla di dosso di continuo quella polvere. Cerchiamo di lustrare le strade, di mantenere in vita le attività tradizionali, ma quella continua a cadere imperterrita. Ricopre la nostra cultura, i nostri monumenti, le nostre speranze. Ci toglie il fiato. E anche se fingiamo che non esista, essa ci condiziona, come una forza invisibile che ci pervade.
Quante attività sono state danneggiate dalle polveri di minerale o dalle polveri sottili? Quante persone hanno dovuto cambiare la propria vita e il proprio lavoro per questa pioggia invisibile? Quante persone hanno subito danni diretti sulla salute per questa situazione? Una città sepolta, Taranto, che fa fatica a sentirsi ancora viva. Una comunità che disperatamente vorrebbe respirare senza affanno, tornare al periodo precedente all’arrivo della grande industria inquinante, per sviluppare le proprie peculiarità legate al mare, all’agricoltura, alla cultura.
Hanno un peso enorme quelle migliaia di tonnellate di polvere che ci portiamo addosso e che da anni attenuano gli splendidi colori di Taranto. Una città invecchiata più del normale, come dicono i dati Istat. La popolazione diminuisce, anno dopo anno, e le nascite non riescono a compensare i decessi. I ragazzi laureati fuggono via con l’intenzione di non tornare più. A volte, la polvere è riuscita (e riesce ancora) a coprire pure le coscienze, anche di chi avrebbe dovuto tutelarci. Ci vorrebbe un vento fortissimo per ripulire Taranto, per spazzare via la polvere dalle strade, dalle nostre menti e dalla nostra memoria collettiva. Taranto deve tornare a sentirsi viva, libera da quel peso enorme che le fa sembrare impossibile ogni ipotesi di rinascita e di riscatto.
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