Taranto di nuovo in evidenza su giornali e televisioni nazionali e ancora una volta per la vicenda Ilva. Nello stesso giorno (martedì scorso) in cui presso la Corte d’Assise di Taranto riprendeva il processo per disastro ambientale nei confronti di proprietà e dirigenza della grande industria e amministratori pubblici che avrebbero dovuto vigilare sul rispetto delle regole a tutela della salute e dell’ambiente, la decisione di un’altra Corte, quella dei Diritti Umani di Strasburgo, irrompeva con forza nella routine di una città abituata ad anni di controversie pro e contro Ilva.
La Corte di Strasburgo ha infatti dichiarato degne di considerazione le prove presentate da 182 cittadini di Taranto coordinati da due caparbie donne, Daniela Spera e Lina Ambrogi Melle, sul danno alla salute che essi o loro familiari hanno subìto a causa dell’inquinamento industriale e, per questo, l’Italia dovrà difendersi dall’accusa di non aver tutelato i cittadini della provincia ionica in maniera adeguata. Vedremo se questa accusa troverà conferma nel proseguo del procedimento della Corte europea ma, intanto, quel sentimento di rabbia che negli anni ha pervaso l’animo di tanti cittadini che ritenevano di subire un sopruso e un attacco al diritto fondamentale alla salute e che in qualche caso si era trasformato in rassegnazione, ha trovato nuova forza propulsiva in questa ultima svolta.
Rabbia che si riaccende e consapevolezza, da parte di chi in questi ultimi anni ha chiesto alla politica uno sforzo per ripensare ad uno sviluppo diverso di Taranto, di aver lottato per qualcosa di giusto. Chi ha accusato i cosiddetti ambientalisti di demagogia, di allarmismo, di aver cavalcato la vicenda Ilva solo a fini elettorali, dovrebbe fare esame di coscienza e chiedersi se l’aver sottovalutato l’esigenza di cambiamento che tanta parte della città chiedeva non sia stato un colossale errore alla luce di quanto sta accadendo nelle aule dei tribunali. Chissà se qualcuno che ha avversato negli scorsi anni a livello nazionale e locale le legittime richieste di tutela ambientale e sanitaria ora prova un minimo di vergogna nel sentirsi dalla parte degli accusati presso la Corte di Strasburgo.
C’è da chiedersi a questo punto, chi davvero difenderà ancora la grande acciaieria a Taranto, chi continuerà a ritenere la grande industria la scelta obbligata su cui contare. Assisteremo nei prossimi mesi, ci possiamo scommettere, alla riconversione dei programmi politici, all’ambientalizzazione dei partiti, anche di quelli che mai avevano considerato possibili piani alternativi all’Ilva. E allora sentiremo sempre più parlare di forni elettrici, di museo dell’acciaio, di sviluppo del turismo, di economia alternativa all’Ilva.
E in quest’ottica di nuova visione strategica del futuro di Taranto non dimentichiamoci di chi ha sofferto maggiormente in questi anni di lotta: gli operai. Hanno vissuto peggio di tutti il rischio per la salute e il ricatto occupazionale. Adesso vivono l’incertezza di una politica pronta a scaricarli (almeno in parte) per ripulirsi la faccia. La tutela dei lavoratori, dei salari deve essere inclusa in qualunque ipotesi di cambiamento, riconoscendo anche diritti speciali per la situazione contingente che hanno vissuto. Taranto vuole uscire dall’incubo e vuole che tutti quelli che lo hanno vissuto sulla propria pelle ne escano bene. Questo il compito futuro della buona politica: difendere i diritti di una città intera.
Giuseppe Aralla
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