Amianto, bonifiche, sorveglianza sanitaria. Non parliamo di grande industria questa volta ma dell’arsenale di Taranto, il più grande stabilimento della Marina Militare italiana. E parliamo di esposizione alla fibra killer di lavoratori e militari.
«È acclarato che a partire dagli anni ’60 ci sia stato un utilizzo massiccio, significativo dell’amianto sia a bordo delle unità navali che all’interno dei luoghi di lavoro come officine e magazzini». A rivelarlo è l’onorevole Donatella Duranti, vice presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito che oggi era in missione con una delegazione nella struttura di Taranto. La missione puntava a fare chiarezza sulle condizioni di lavoro.
«La Commissione d’inchiesta si occupa prevalentemente dell’uranio impoverito, del suo utilizzo e delle ricadute sulla salute, però, per delibera istitutiva, anche del rischio connesso all’utilizzo dell’amianto», ha spiegato la Duranti. Insieme ai parlamentari Federico Massa, Gianluca Rizzi e Ivan Catalani ha incontrato in due audizioni separate il direttore dell’Arsenale di Taranto, il Contrammiraglio Salvatore Imbriani, i dirigenti dei vari Servizi e il medico competente; poi le organizzazioni sindacali, con i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, il direttore regionale dell’Inail e l’associazione Contramianto.
«Abbiamo chiesto in maniera molto specifica di produrre della documentazione per approfondire la situazione – ha specificato in conferenza stampa la Duranti – in particolare in riferimento a due questioni fondamentali: da un lato la sorveglianza sanitaria dei lavoratori, non solo quelli ex esposti all’amianto certificati dall’Inail, ma complessivamente di tutti i lavoratori che sono stati impiegati in questo stabilimento. Dall’altro, le bonifiche».
I dati raccolti fotografano una realtà in cui «è riconosciuta la morbilità e la mortalità dell’amianto. Per noi – continua – rappresenta un profilo di drammaticità: ci sono oltre 198 casi di lavoratori che sono stati impiegati presso l’arsenale di Taranto che hanno subito patologie asbesto correlate e situazioni in cui ci sono evidenze di morbilità dovuta all’utilizzo dell’amianto».
Non è tutto: «Sappiamo che il picco sarà raggiunto prima del 2020, così come era stato previsto, sia per quello che riguarda i lavoratori delle ditte private che per quelli diretti e per i militari. I lavoratori sottoposti al protocollo di sorveglianza sanitaria sono circa 350 e sono quelli che hanno avuto la certificazione Inail a cui è stata riconosciuta l’esposizione all’amianto».
Poi la Duranti ammette che «negli anni, almeno dal ’92 – da quando il legislatore ha considerato fuorilegge l’amianto – ci sono state omissioni da parte della Marina Militare e gravi ritardi anche nell’applicazione delle leggi dello Stato. Ora bisogna capire quanti lavoratori sono stati danneggiati dalle manchevolezze pregresse e se c’è un problema odierno relativo alle bonifiche e alla sorveglianza sanitaria a cui sono sottoposti».
I dati parlano chiaro: «C’è una documentazione vastissima sull’utilizzo dell’amianto, dell’immagazzinamento come nel caso del famosissimo magazzino 53, del fatto che le navi siano sottoposte a bonifica. Ci hanno riferito di centinaia di tonnellate d’amianto che sono state tirate fuori dalle unità navali negli anni». Dunque c’è la necessità di approfondire per comprendere quello che è accaduto negli anni e verificare anche le responsabilità.
«Pensiamo – spiega la Duranti – di poter dire che la normativa attuale non corrisponde alle necessità dei lavoratori che sono stati esposti all’amianto, e abbiamo fondati motivi per credere che l’esposizione è avvenuta anche dopo il 1992. Occorre costruire soluzioni normative adeguate».
Nicola Sammali
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