Via da Taranto per potersi curare: la storia della piccola Ambra e di altri come lei
Ambra è partita, Ambra è a Roma per prepararsi al trapianto eterologo necessario per curare la leucemia. Ambra ha solo 6 anni e, nel momento più delicato della sua giovane vita, ha dovuto lasciare la sua casa, i suoi nonni, i suoi zii, i suoi compagni, la sua cameretta, i suoi medici e infermieri dell’Ematologia di Taranto (che l’hanno curata fino a questo momento), la sua educatrice dell’Arciragazzi (che ha reso meno traumatica la sua degenza), e partire. E aggiungere alla devastazione e alla paura della malattia l’angoscia dell’ignoto. Perché avviene tutto questo? La risposta è semplice e terribile: le persone che dovrebbero tutelare il suo diritto alla salute e alla cura sono troppo impegnati a far quadrare i conti e mai i conti tutelano i diritti dei deboli.
Questa è una storia di “ordinaria malasanità”. In una città come Taranto, flagellata dalle malattie per problemi noti di cui è ormai ridondante parlare, il Piano Sanitario Regionale non prevede un Reparto di Oncoematologia Pediatrica e ci fa “la grazia” di un Dipartimento di Oncoematologia (con pochi posti letto, pochi operatori, poco tutto). Si prevede, di contro, la costruzione, chiaramente in tempi biblici, di un nuovo ospedale, il San Cataldo, con presumibili appalti milionari e senza una programmazione sanitaria che ne giustifichi la costruzione.
In questo balletto di santi (tempo fa si parlava anche di un San Raffaele), di cui si fa un uso improprio e un po’ blasfemo, sono arrivati dei soldi, tanti per noi, pochi per chi gestisce la sanità pubblica, stornati da quelli stanziati per la Terra dei Fuochi e usati per gli screening finalizzati ad una diagnosi precoce; per scoprire, insomma, se ci siamo già ammalati. E se ci siamo già ammalati, se i nostri bambini si sono già ammalati e hanno bisogno di curarsi dove vivono, beh, allora entrano in campo a gamba tesa i conti, la spending review, le spallucce alzate dei vertici della ASL in segno di impotenza, oppure, ancora più grave, le risposte in politichese, oppure l’attesa, ancora inevasa da oltre un anno, di essere ricevuti, come Ail Taranto, dal Presidente della Regione Puglia Emiliano per esporre questi, per noi, grandi problemi.
Eppure la politica sanitaria dovrebbe essere disegnata ascoltando i pazienti e/o chi li rappresenta. Ascoltando i genitori di Ambra, che mentre scrivevo, sono arrivati all’AIL. Ed è stato difficile sostenere il loro sguardo mentre davamo i biglietti dell’aereo per Roma, l’indirizzo della casa che li avrebbe ospitati, mentre chiedevamo loro se avessero bisogno d’altro, e ascoltare la risposta della mamma: “Quello di cui avremmo avuto bisogno è poterci continuare a curare qua. Ambra adesso ha paura e anche noi; qua ci sentivamo a casa, protetti”.
Quanto costa questa angoscia? E’ prevista questa voce nei bilanci della ASL e della Regione Puglia? No, non è prevista e rimarrà inascoltata se noi non la faremo nostra e la urleremo, insieme a tutti i bambini che si sono ammalati e si ammalano a Taranto con quanto fiato abbiamo in gola. E ce la faremo, per Ambra e per tutti i bambini che, purtroppo, si ammaleranno ancora.
Tutti i cittadini che vorranno urlare con noi il loro sdegno e la richiesta del Reparto di Oncoematologia Pediatrica a Taranto pagina ci sostengano. Perché la lettura di queste richieste è una: il diritto alla salute e alla cura, dalla diagnosi alla guarigione, alla morte, dei Tarantini. Mentre stavo per inviare alla stampa e alle TV mi è arrivato questo messaggio: “Buongiorno sig.ra D’Andria sono il papà di Giuseppe. Siamo stati a Padova il 4 e 5 maggio per il controllo, purtroppo la malattia si è ripresentata (rabdomiosarcoma alveolare) dopo le chemio fatte in questi sei anni abbiamo perso le poche speranze che ci davano la forza di andare avanti. Adesso siamo da 10 giorni al Miulli per emorragie alla vescica che non si riescono a tamponare”.
Io, l’AIL non sappiamo cosa rispondere a questo papà. Se Giuseppe si fosse potuto curare qua avremmo almeno potuto condividere, non a parole ma con i fatti, il loro grande dolore. Ma queste sono quisquiglie, l’importante è che i conti tornino. Ma tornano poi i conti se dobbiamo farci carico di tanti ricoveri fuori Regione?
Lettera aperta di Paola D’Andria, AIL Taranto