Ilva, Italia sotto processo: primo traguardo raggiunto ma bisogna aspettare per cantare vittoria
TARANTO – Sono attese entro il prossimo 20 giugno le osservazioni che lo Stato italiano potrà presentare rispetto alla decisione assunta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo di mettere sotto processo l’Italia con l’accusa di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni dell’Ilva. La Corte di Strasburgo, infatti, ha ritenuto sufficientemente solide, in via preliminare, le prove presentate dai ricorrenti e ha così aperto il procedimento contro lo Stato italiano.
Se si è arrivati a questo punto il merito è di due ricorsi presentati in tempi diversi: il primo datato luglio 2013 che vedeva come sottoscrittori cinquantadue cittadini rappresentati davanti alla Corte dall’avv. Sandro Maggio e da Daniela Spera (Legamjonici); il secondo risalente all’ottobre 2015, partiva da un’istanza di Lina Ambrogi Melle (oggi consigliere comunale del Gruppo Ecologisti per Bonelli) e di altre 129 persone, rappresentate dallo studio legale romano dell’avv. Andrea Saccucci, specializzato in diritto internazionale.
Del risultato ottenuto e delle prospettive del procedimento, si è parlato questa mattina nel corso di una conferenza stampa congiunta tenuta dalla Spera e da Ambrogi Melle insieme all’avv. Maggio a Palazzo Latagliata.
«Adesso stiamo vivendo una fase preliminare – ha spiegato la Spera – per questo motivo non vogliamo ancora cantare vittoria. La via da percorrere è ancora molto lunga: abbiamo conquistato un primo importante risultato, ma dobbiamo ancora ottenere quello definitivo. Lo sapremo solo quando si esprimerà la Corte europea dei diritti umani».
Al momento, non è facile prevedere i tempi per l’approdo ad una sentenza. Va, comunque, evidenziato il fatto di aver conquistato una corsia preferenziale grazie alla richiesta avanzata nello scorso mese di febbraio dai promotori di entrambi i ricorsi (poi accorpati dalla Corte europea) di ottenere una trattazione d’urgenza prevista dall’articolo 41 del Regolamento della Corte.
Presente in sala anche la mamma di due ragazzi sottoscrittori del primo ricorso. «Uno dei due – ricorda la Spera – ha dovuto subire un intervento per un tumore benigno che fortunatamente è andato a buon fine. Entrambi hanno avvertito un forte senso di responsabilità che li ha portati a firmare il ricorso che ha avuto come primo firmatario Francesco Cordella». La Spera ci tiene a precisare che si tratta solo di una parte di quei 182 cittadini che si sono resi protagonisti di un’iniziativa fatta a nome di tutta la città di Taranto. «Si tratta di un’iniziativa che potrà avere ampia risonanza – ha continuato – se si otterrà un risultato positivo si creerà un precedente molto importante che farà scuola a livello mondiale per quanto riguarda le vicende legate all’inquinamento». Il tutto facendo leva sul principio di precauzione.
Nel ricostruire le varie tappe del ricorso presentato nel 2015, Lina Ambrogi Melle ha ricordato il primo decreto “salva Ilva” varato dal governo che ha dato il via ad una serie di continui provvedimenti che “non tutelano la salute dei cittadini ionici” ma mirano a salvaguardare la produzione del Siderurgico. «Già dal primo decreto – ha sottolineato il consigliere comunale – sono stati messi sotto i piedi i nostri diritti. Poi si è continuato con altri decreti. Nel dossier consegnato alla Corte europea abbiamo raccolto le prove di tutto ciò. Ultimamente abbiamo presentato anche una memoria integrativa riguardante i picchi di diossina rilevati nei mesi di maggio 2014, novembre 2014 e febbraio 2015, dalla centralina ubicata nel quartiere Tamburi. Questo per dimostrare che la salute dei tarantini è ancora a rischio. Penso che questa integrazione abbia inciso sulla tempestività con cui si è mossa la Corte europea».
Nella documentazione fornita a Strasburgo figurano anche lo studio Sentieri (Istituto Superiore di Sanità) e la perizia epidemiologica prodotta dagli esperti incaricati dal gip Patrizia Todisco nell’ambito della inchiesta sull’inquinamento causato dall’ilva. Ambrogi Melle ha spiegato che l’obiettivo del ricorso da lei promosso è quello di ottenere una “sentenza di principio” che imponga allo Stato italiano di tutelare la vita e la salute dei tarantini». Inoltre, ha sottolineato che tale ricorso non comporta alcuna procedura d’infrazione ed ha precisato che l’obiettivo principale dei ricorrenti non è mai stato quello di ottenere dei risarcimenti.
Cosa accadrà ora? L’avv. Maggio ha prospettato due tipi di sentenza da parte di Strasburgo: «Una avrebbe un effetto diretto in merito all’accertamento delle violazioni degli articoli 2 (violazione del diritto alla vita), 8 (violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 13 (mancanza di strumenti per opporsi a determinati provvedimenti) della Convenzione europea e la condanna dello Stato Italiano; un altro tipo di sentenza avrebbe come effetto quello di imporre all’Italia azioni legislative tali da eliminare le situazioni che hanno determinato i ricorsi ponendo quindi le basi per una modifica radicale dell’impostazione finora assunta e mettere fine agli effetti lesivi finora posti in essere». Ed è proprio questo il principale auspicio avanzato dai ricorrenti.