COMUNE DI STATTE – PARCO ARCHEOLOGICO – AREA MEGALITICA – DOLMEN DI SAN GIOVANNI. Questo dice il cartello che si incontra un paio di chilometri dopo la masseria Accetta Grande, di lato ad una strada interna che da Massafra conduce a Taranto. L’erba alta e un cartello quasi illeggibile che dovrebbe fornire ai visitatori indicazioni sul parco archeologico mi fanno temere che la ricerca del Dolmen non sarà cosa facile per chi, come me, non conosce il posto. Ma sono deciso a non demordere e, dopo qualche tentativo in direzioni sbagliate, finalmente imbocco il sentiero giusto.
Quelli che una volta dovevano essere supporti per la segnaletica e che ora sono solo scheletri metallici mi fanno intuire di essere vicino alla meta. L’emozione cresce immaginando di trovare dietro ogni curva del sentiero quella struttura megalitica di cui ho visto solo foto e filmati. E finalmente eccolo, in una radura della pineta, il Dolmen di San Giovanni, imponente, grigio, fiero. Mi avvicino con rispetto, forse col timore inconscio di disturbare il sonno di quelle pietre innalzate circa 4000 anni fa dagli uomini che abitavano il territorio delle gravine.
Il lastrone orizzontale lungo circa tre metri e largo due poggia da un lato su due monoliti verticali e dall’altro su uno soltanto. Il lato opposto all’imboccatura è parzialmente chiuso da un’altra grande pietra. Restano tracce di ciò che doveva essere un corridoio di ingresso alla camera del dolmen delimitato da pietre di dimensioni più piccole poste ai suoi lati. Rispetto a ciò che si può osservare in foto di qualche decennio fa, molte di queste pietre non sono più presenti. Mancano inoltre, i lastroni che fungevano da pavimento della camera del dolmen e che furono descritti subito dopo la scoperta del monumento megalitico nel 1884.
I dolmen sono presenti in vaste aree d’Europa, dall’Inghilterra, alla Francia, alla Spagna e in Italia particolarmente in Sardegna, Sicilia e Puglia. Il dolmen di San Giovanni è il secondo per importanza in Puglia dopo quello di Bisceglie. Le ipotesi sul significato e sulla funzione dei dolmen per gli uomini dell’Età del Bronzo sono diverse. Si ritiene, fondamentalmente, che essi fossero delle camere di sepoltura e alcuni studiosi pensano che il lastrone orizzontale potesse fungere anche da altare per i sacrifici e il culto dei morti, ipotesi accreditata dalla presenza su alcune pietre di scanalature utili a far defluire i liquidi.
Altra ipotesi è che i dolmen si trovassero lungo le vie di comunicazione dell’epoca e servissero a marcare il territorio da parte di chi abitava quei luoghi. Appena a tre chilometri da San Giovanni, sull’orlo di un ramo della Gravina di Leucaspide, presso la masseria di Accetta Piccola, si trova un altro dolmen, in parte crollato e della stessa tipologia ed epoca del primo. Il fascino dei dolmen è immenso. Osservare una delle prime costruzioni stabili costruita da uomini vissuti migliaia di anni fa, in un’epoca preistorica di cui l’archeologia ha ancora tanto da scoprire, è un’esperienza che lascia il segno.
Un viaggio nel tempo nella radura che ospita la struttura in pietra e mi viene naturale accarezzare quella lastra di copertura, immaginando che quella stessa pietra fu il punto di ritrovo per antiche cerimonie di uomini tanto lontani e diversi da noi. Torno verso il parcheggio e dall’altura che ospita il parco archeologico si osserva il panorama di Taranto, del mare, delle industrie. Il contrasto è evidente: due estremi, quello in cui mi trovo e l’orizzonte che la vista mi offre, distanti dieci chilometri in linea d’aria ma che idealmente racchiudono un grande pezzo di storia dell’umanità.
Dal dolmen alla modernità della città, due immagini che simboleggiano un viaggio di migliaia di anni che ha visto passare in quei posti centinaia di generazioni di uomini che hanno lottato e sofferto per continuare a sopravvivere. Posso solo lontanamente immaginare quello che doveva essere il panorama osservato da chi innalzò il dolmen: foreste sterminate e qualche radura utilizzata per le coltivazioni di cereali da parte dei primi gruppi umani che abitavano in modo stabile la zona.
Un senso di piccolezza e fragilità doveva pervadere l’animo di quegli abitanti di 4000 anni fa. Un panorama del tutto cambiato da quello attuale, a parte il mare sullo sfondo, e soprattutto un senso di dominio sulla natura che oggi ci pervade e ci rende superbi e irrispettosi rispetto alla terra che ci ospita. Una visita che consiglio a tutti in questo posto magico e misterioso a ridosso della Gravina di Leucaspide. Un parco archeologico nel Comune di Statte purtroppo in abbandono e poco conosciuto che meriterebbe di essere valorizzato ed inserito in un percorso più ampio di conoscenza della Terra delle Gravine.
Giuseppe Aralla