Italia: si riduce l’aspettativa di vita e la salute diventa un lusso per pochi privilegiati

I più maligni dicono che all’INPS, con la diffusione dei dati sulla riduzione di aspettativa di vita degli italiani, abbiano stappato le bottiglie di spumante e brindato, ma è solo una leggenda metropolitana cattiva e senza alcun fondamento. Per la prima volta da metà ottocento ad oggi, secondo il Rapporto Osservasalute 2015, si è ridotta la nostra aspettativa di vita: pochi mesi in meno rispetto all’anno precedente, ma comunque significativi di un cambio di tendenza in un Paese che resta comunque con la popolazione più longeva al mondo.

L’allarme c’era già stato qualche mese fa, quando le indagini Istat avevano riportato che la mortalità in Italia era aumentata in modo anomalo, con la inaspettata scomparsa di oltre 45.000 persone rispetto all’anno precedente. E se la vita si accorcia, l’età per la pensione si allunga e questo aiuterà l’INPS, pur senza festeggiare, a tenere in ordine i suoi conti. Una vera beffa per chi, magari non più giovanissimo, si immette nel mondo del lavoro, con la prospettiva di una pensione lontanissima, quando forse si supereranno i settant’anni e oltre di età.

Ma cosa sta succedendo in Italia? La spiegazione la si trova facilmente frequentando qualche ambulatorio del medico di famiglia o della AUSL. La prevenzione, strumento di miglioramento della qualità e durata della vita, viene garantita sempre meno ai cittadini. Il taglio dei budget regionali per la sanità e il recente decreto “Lorenzin” hanno comportato tagli lineari all’accesso alle prestazioni sanitarie, sia specialistiche che diagnostiche e ai ricoveri ospedalieri.

Inoltre, a ciò si associa una riforma silenziosa della medicina di base che tende ad affievolire quel rapporto di fiducia medico-paziente che è stato alla base del successo del nostro sistema sanitario: si assiste ad una standardizzazione verso il basso delle prestazioni, col medico curante che spesso non può, malgrado l’alto livello di professionalità ed impegno, per ragioni di tagli e protocolli, garantire una serie di interventi che, seppur in qualche caso erano forse eccessivi, in passato avevano reso il nostro sistema sanitario uno dei migliori nel mondo occidentale.

La discrezionalità del medico curante, che era il vero filtro alle prestazioni specialistiche e diagnostiche, è stata ora sostituita da rigidi protocolli ministeriali a cui nessuno può sottrarsi, indipendentemente dalla situazione economica del paziente. Tutto ciò si traduce in un maggior ricorso alla sanità privata che, diffusasi in maniera capillare sul territorio, offre prestazioni rapide e senza filtri a prezzi competitivi, simili a quelli che i pazienti non esenti pagherebbero col ticket.

Ma certamente tantissima parte della popolazione non è in grado di spendere per la propria salute e in questa fascia proprio la gente più debole, quella che per condizioni socio economiche svantaggiate, adotta stili di vita e alimentazione che la pongono in una condizione di rischio maggiore e che quindi avrebbe bisogno proprio di maggiore assistenza. È logico, perciò, che tutto ciò si traduca in una riduzione di aspettativa di vita soprattutto per le fasce di popolazione più deboli.

Incrociando infatti i dati del Rapporto Osservasalute con i dati di mortalità per fasce di età e i dati istat sul livello di istruzione degli italiani, si evince una differenza di aspettativa di vita significativa che premia gli italiani con maggiori titoli di studio rispetto a chi si è fermato alle scuole inferiori. In pratica, la vita media degli italiani risente significativamente della condizione socio-economica di appartenenza. I dati appena diffusi sono solo un campanello d’allarme sullo stato di salute degli italiani.

C’è da sperare che i prossimi dati non confermino questa tendenza e che la prevenzione torni ad essere centrale nelle politiche sanitarie dell’Italia dove sempre più si accentuano le differenze tra ricchi e poveri. Istruzione e sanità sono centrali nel funzionamento di uno Stato che deve, in questi due settori, garantire livelli minimi essenziali sufficienti per tutti in modo da non creare classi di cittadini svantaggiate.

Giuseppe Aralla

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