Gonfiore addominale: avrò una intolleranza alimentare? – Iris Zinzi
Sarà capitato a tutti di avvertire un senso di gonfiore e di pesantezza a livello addominale, in particolare in concomitanza di periodi stressanti e/o dopo il pasto. Spesso non si ammette che il gonfiore possa essere dovuto ad un pasto forse troppo abbondante, oppure che è l’adipe depositato nell’addome a far mancare quasi il respiro, ed ultimamente si usa imputare l’aumento della circonferenza vita, e spesso anche del peso, ad una intolleranza alimentare.
Quello di intolleranza alimentare è un concetto di cui, negli ultimi tempi, si sta abusando un po’ troppo, essendo di gran tendenza autodiagnosticarsi intolleranti a qualche alimento con grandi facilità e superficialità. Quindi l’urgenza e la necessità di trovare risoluzione al discomfort gastro-intestinale e una ragione al perché non si riesca a dimagrire, ha trovato riscontro nei test di intolleranza alimentare non convenzionali o non validati, effettuabili un po’ ovunque (farmacie, studi nutrizionali, laboratori di analisi privati, erboristerie, studi di naturopatia).
Tali metodiche di indagine costituiscono una pagina abbastanza controversa della Scienza della Nutrizione, in quanto l’attendibilità della gran parte di tali test è dubbia non esistendo, al momento, una loro evidenza di validità diagnostica suffragata dalla letteratura scientifica in modo univoco e ufficiale. Dei test di intolleranza “alternativi” sopra citati ce ne sono di molti tipi, e l’esecuzione di alcuni di essi è anche abbastanza caratteristica e fantasiosa in quanto non tutti si basano sul prelievo di un campione biologico.
Attualmente i principali test di intolleranza validati sono quello per l’intolleranza permanente al glutine (celiachia) e quello per l’intolleranza al lattosio (lo zucchero del latte). Tali analisi sono effettuate e diagnosticate in ospedale da medici specialisti in immunologia ed allergologia. Accanto alle reali intolleranze alimentari v’è la sindrome del colon irritabile spesso responsabile di malesseri a carico dell’apparato gastro-intestinale che peggiorano sensibilmente la qualità della vita.
La prevalenza della sindrome del colon irritabile è incrementata negli ultimi 50 anni nei paesi occidentali a causa dello stile di vita stressante che accompagna la vita di tutti i giorni, che spesso si traduce in una somatizzazione dello stesso a livello dell’intestino, riconosciuto essere un secondo cervello. Benchè tali sintomi siano grosso modo indipendenti da cosa si mangi, molti individui li attribuiscono a qualche componente presente in determinati alimenti.
Dal momento che risulta molto difficile dare indicazioni dietetiche precise e valide per tutti ai pazienti con sindrome del colon irritabile e le terapie in genere somministrate dai gastroenterologi (antispastici, integratori probiotici, antidepressivi) non portino a riscontri soddisfacenti e duraturi, si sta facendo largo il test di intolleranza alimentare basato sulla ricerca di anticorpi IgG correlata alla assunzione di componenti che possono ritrovarsi negli alimenti e a cui si può essere sensibili, dette antigeni, che potrebbero essere in grado di scatenare reazioni ritardate come emicrania, dolori addominali, gonfiore.
Tuttavia tale meccanismo patogenetico risulta tuttora controverso, benché alcuni soggetti sembrino giovare dell’esclusione di alcuni alimenti dalla dieta, che però così rischia di diventare spesso restrittiva e carente di nutrienti fondamentali se non bilanciata in modo accurato. Per alcuni esperti, infatti, un essere “sensibili” a determinate componenti di cibi è un meccanismo del tutto fisiologico anche nei soggetti sani ma che si manifesta in maniera più eclatante in altri.
Nei casi in cui si imputi la propria obesità a presunte intolleranze alimentari, a parere di chi scrive, il motivo per cui ci si affidi ai test di intolleranza non validati è quello di trovare una giustificazione al fatto che ci si vede “ingrassare” a vista d’occhio e non si riesce ad ammettere che si mangi troppo e male. Ma c’è da dire che le vere intolleranze alimentari difficilmente portano ad un incremento ponderale, piuttosto provocano malnutrizione e dimagrimento, come nel caso della celiachia, oppure diarrea, dolori addominali, crampi, aria nell’intestino e meteorismo, come nel caso di intolleranza al lattosio, a causa del fatto che quest’ultimo fermenta nel colon perché non digerito.
Un ottimo modo per prendere consapevolezza di quanto e cosa si mangi, e se questo qualcosa porti davvero a reazioni alimentari avverse, può essere annotare su un diario ciò che si mangia e ascoltare il proprio corpo. Eventualmente fare una esclusione temporanea del cibo verso cui si sarebbe “intolleranti”, per poi farne una graduale reintroduzione. Ciò con il supporto di un dietista o di un nutrizionista, che potrebbe aiutare il soggetto a sopperire alla mancanza di tale cibo con altri alimenti bilanciando un’alimentazione adeguata.
Dietista nel team dell’ambulatorio di Nutrizione Clinica, I.R.C.C.S. De Bellis, Castellana Grotte (Ba).
Biologa nutrizionista, libero professionista, Taranto.