Accordo sul clima: a New York va in scena l’ipocrisia di Renzi e Galletti
È stato come presentarsi alla festa degli animalisti in pelliccia oppure in curva Nord con la maglietta della squadra avversaria. Renzi e Galletti, dopo l’esperienza referendaria, con tanto di invito all’astensionismo, si sono ritrovati a New York a ratificare l’accordo di dicembre a Parigi sul clima. Grandi discorsi, strette di mano e impegni solenni di ridurre l’uso del fossile o, almeno, a programmarne la riduzione nei prossimi anni. Renzi twitta: “L’Italia sarà protagonista di questo accordo storico, per i nostri figli e i nostri nipoti”.
Sicuramente la coerenza non è proprio la principale virtù dei politici, ma le parole dovrebbero precedere o seguire i fatti. Non aver voluto rinunciare al 2% del gas e allo 0,8% del petrolio estratti in Italia non è stato un bel segno di cambiamento di rotta verso l’uso delle rinnovabili. Proprio la Conferenza di Parigi doveva spingere il governo a sposare le tesi referendarie. Sarebbe stato un bel segnale e Renzi avrebbe portato a New York l’esempio concreto dell’Italia che agisce, che dismette una piccolissima parte del fossile per incentivare magari l’uso delle auto elettriche.
A sentire le dichiarazioni dei 60 capi di stato delle maggiori potenze mondiali che sono intervenuti a Cop21, ci sarebbe da sperare in azioni concrete che possano abbassare la febbre al nostro pianeta, di cui oggi si celebra la festa. Il presidente francese Hollande, il vice premier cinese Zhang Gaoli, il primo ministro canadese Justin Trudeau, il segretario di Stato americano John Kerry hanno applaudito alle parole di Di Caprio che li esortava ad agire, a salvare la Terra. Tutti d’accordo sembrerebbe, tutti preoccupati per il surriscaldamento degli ultimi anni del nostro pianeta, ma le buone intenzioni si scontrano poi con politiche che non riescono ad incidere seriamente sugli stili di vita dei Paesi più economicamente progrediti e neanche sull’aumento di produzione dei Paesi in via di sviluppo che non possono certo limitare la loro crescita.
Le guerre e le tensioni in Asia e Africa traggono spesso origine proprio dall’esigenza di assicurarsi il controllo delle zone petrolifere, a dimostrazione che per tanti anni ancora il fossile sarà un bene essenziale. E probabilmente, di fronte ai circa 90 milioni di barili di petrolio che ogni giorno il mondo brucia, quella piccola parte estratta nei nostri mari è una goccia che non basterebbe a incidere sul clima.
La rinuncia a quelle poche migliaia di barili al giorno, avrebbe potuto però, almeno in Italia, innescare un meccanismo virtuoso di impegno collettivo per il risparmio del fossile. Tanta gente che ha creduto nel referendum e tanti altri meno sensibili al problema energetico, avrebbero probabilmente ricevuto un incoraggiamento a proseguire sulla strada del risparmio energetico se il premier Renzi avesse sposato le ragioni del “SI” o se almeno non le avesse boicottate. Come spiegare ai ragazzi delle scuole che il clima della Terra sta soffrendo e che il nostro ministro dell’Ambiente ha chiesto di non andare a votare domenica scorsa? Vorrei sentire Galletti fare una lezione a quei ragazzi. Forse avrebbe qualche difficoltà nel giustificare la sua scelta.
Giuseppe Aralla