I motivi del “SÌ” sono di diversi ordini di grandezza, a seconda che si analizzi la questione petrolio a livello di impatto ambientale ed economico nel luogo in cui esso si estragga o si lavori o che si analizzi a livello sovraterritoriale e cioè nazionale o addirittura mondiale. Come premessa diciamo che in Italia vi sono 92 piattaforme entro le 12 miglia di mare e di queste 48 sono eroganti; 39 estraggono gas e solo 9 petrolio. La quota di petrolio nazionale estratto in mare rappresenta 8,7 % del totale. La restante parte viene estratta su terraferma.
In tutto, per quanto riguarda il petrolio, in Italia sono state rilasciate 107 autorizzazioni a trivellare e di queste 28 in mare. In Basilicata si estrae il 70% del petrolio nazionale. Altri pozzi si trovano in Piemonte, Emilia, Lombardia, Lazio, Toscana, Sicilia, Molise. Se chiudessimo la piattaforme oggetto del referendum, rinunceremmo rispettivamente al 2,1% del gas e allo 0,8% del petrolio consumati in Italia nel 2014. In totale, le estrazioni di idrocarburi in Italia soddisfano circa il 10% del fabbisogno annuale.
È questa una osservazione indubbiamente logica e che fila, ma solo se si ragiona pensando che al petrolio non c’è alternativa e cioè che il fossile sarà ancora, per diversi decenni, la nostra fonte energetica principale. Pensare poi che se non estraiamo noi lo farà qualcun altro riporta a vecchie tesi già sostenute in occasione del referendum sul nucleare: che senso ha chiudere le centrali in Italia se poi ci potremmo beccare le radiazioni provenienti da altre centrali in funzione in Europa?
Il tempo ha in buona parte dato ragioni ai sostenitori del “NO” al nucleare. Sempre più paesi rivedono le loro politiche nucleari, anche in seguito al recente incidente di Fukushima, e le scorte di uranio nel mondo sono in esaurimento. Nel bilancio complessivo della resa economica di una centrale nucleare si deve tenere conto del costo di costruzione e di dismissione, dell’impatto ambientale per l’estrazione dell’uranio e soprattutto dello smaltimento delle scorie radioattive. Paesi come la Francia, che producono grandissime quantità di energia elettrica con le centrali nucleari, hanno più o meno lo stesso import dell’Italia di petrolio poiché l’energia elettrica non ha sostituito gli idrocarburi nei trasporti.
Dire “SI” al referendum, anche se di fianco a noi qualcuno continuerà ad estrarre idrocarburi, significa in questo caso rinunciare ad una piccolissima parte di approvvigionamento, senza tra l’altro che questo incida troppo sulla bolletta energetica poiché il petrolio estratto in Italia lo paghiamo ugualmente alle compagnie petrolifere più o meno quanto quello importato dall’estero e considerando che la tassazione che riguarda gli utili di esercizio delle compagnie è parecchio più bassa di altri Paesi quali ad esempio Regno Unito o Norvegia.
Ma la vera ragione per dire “SI” è quella di suggerire, a chi decide le politiche nazionali, un vero e proprio cambio di rotta nelle scelte energetiche. Il fossile non può rappresentare ancora per molto il futuro e i Paesi evoluti devono sempre più sviluppare tecnologie che permettano di sfruttare le rinnovabili, anche e soprattutto nei trasporti.
Al petrolio dovremo prima o poi rinunciare o almeno limitarne l’impiego. L’aumento delle temperature a livello mondiale per effetto dei gas serra impone scelte energetiche innovative che vadano oltre il fossile. Rinunciare al 2% degli idrocarburi potrebbe essere uno stimolo per sviluppare politiche più attente all’ambiente e che potrebbero addirittura avvantaggiarci rispetto ad altri Paesi che puntano ancora tutto sul petrolio.
In Italia si produce sempre più energia elettrica “pulita” e la Puglia è addirittura autosufficiente. Lo sforzo, ora, deve essere teso a sfruttare questa energia anche lì dove finora il fossile è maggiormente utilizzato, vale a dire nei trasporti. E il referendum può dare questa spinta per sviluppare, per esempio, le auto elettriche. Sembra davvero incredibile, tornando a Galletti, che un ministro dell’Ambiente non colga questa opportunità di cambiamento, ma resti invece ancorato a logiche energetiche del secolo scorso.
Giuseppe Aralla
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