“Io pagata 1 euro a ora, ho detto basta” – La storia riguarda un call center di Taranto

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«Ci pagavano 1 euro per ogni ora di lavoro eppure quel call center operava per conto di un’impresa nazionale come Fastweb. È stato umiliante e alla fine ho trovato il coraggio di andare via». È l’ultima inquietante testimonianza raccolta dalla Slc Cgil di Taranto sui call center “da sottoscala” che nel capoluogo ionico continuano a proliferare.

«Nonostante committenze di tutto rispetto come in questo caso – ha spiegato Andrea Lumino segretario generale della Slc Cgil di Taranto – offrono condizioni di lavoro che oramai vanno ben oltre la schiavitù. Pensavamo di aver toccato qualche tempo fa e invece ci stiamo rendendo conto che non sembra esserci limite al peggio. Alcune lavoratrici che hanno avuto il coraggio di raccontare la loro drammatica situazione in questo call center ci hanno spiegato che al mese ricevevano uno stipendio di 147 euro. Una somma che non basta a coprire neppure le spese per la benzina».

Ma per Lumino «quel che è peggio – ha aggiunto il sindacalista – è che questi call center operano per aziende come Fastweb: la speranza che è il committente non sia a conoscenza di queste schiavizzazioni. Vogliamo denunciarlo pubblicamente e chiedere a Fastweb di prendere le distanze da chi umilia fino a tal punto donne e uomini costretti ad accettare qualunque cosa pur di lavorare. Vogliamo che le aziende committenti come Fastweb abbiano il coraggio di fare una scelta etica a difesa degli uomini e delle donne costrette a percepire uno “stipendio” di 1 euro all’ora».

Dalle testimonianza raccolte dal sindacato, inoltre, è emerso che spesso i contratti che i lavoratori riuscivano a concludere sparivano misteriosamente. «Una dipendente – ha chiarito Lumino ci ha confessato che alcuni contratti chiusi non erano stati accettati, ma non sono stati in grado di fornire alla lavoratrice alcuna spiegazione. Inoltre alcune di loro venivano messe di fronte a una scelta: avere un’ulteriore periodo di prova di 15 giorni (sempre a 1 euro all’ora) oppure restare per altri 3 giorni per chiudere un contratto altrimenti era licenziata. Una di loro ha trovato il coraggio di dire basta e il sindacato ora le è accanto per tutelarla e portare avanti la lotta che le veda restituita la sua dignità di donna e di lavoratrice».

Lumino,  infine, ha sottolineato come questa storia «insieme alla emergente vicenda Gepin siano la testimonianza di quanto il settore dei call center, nonostante i traguardi raggiunti nei mesi scorsi, abbia ancora bisogno di una profonda regolamentazione che parta dai diritti dei lavoratori e non dai profitti delle aziende».

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