Quali sono le principali sofferenze del settore?
«Scontiamo trent’anni di sostanziale mancanza di regolamentazione. Trent’anni in cui la nostra professione è cresciuta sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista dell’identità, soprattutto negli ultimi dieci anni. Il quadro normativo, anche se ora sta cambiando, non corrisponde più alla nostra realtà professionale. Manca la chiarezza delle regole e non esiste una precisa definizione dei ruoli e delle responsabilità. Non si capisce chi lavora per chi. Questo è un problema serio che ha conseguenze sulla deontologia professionale. Non è chiaro, infatti, quale sia il ruolo degli archeologi professionisti. Lo riconosciamo a fatica, dopo un lungo batti e ribatti».
La riforma del MiBACT che porta all’accorpamento delle Soprintendenze ha suscitato forti reazioni. Come valuta questa trasformazione?
«Sfido chiunque a trovare un testo di minima credibilità scientifica e culturale che non sostenga l’opportunità riunire le competenze in archeologia, paesaggio, belle arti. Credo, però, che ci siano opposizioni di tipo strettamente sindacale. Tutti coloro che sono avvitati alla sedia in un determinato posto temono che questo rimescolamento delle carte porti ad una perdita di prestigio o di opportunità professionale. Ma è un eccesso di catastrofismo. In realtà, tutta la riflessione di metodo degli ultimi quarant’anni va verso la riunificazione delle competenze».
La Soprintendenza unica per Archeologia, belle arti e paesaggio della Puglia meridionale avrà sede a Lecce accorpando Taranto e Brindisi (leggi qui). La città ionica ha reagito con sdegno a questa decisione che mortifica la sua storia. Cosa ne pensa?
«Taranto si sta ribellando alla perdita di titolarità geografica della nuova Soprintendenza e, quindi, della sua sede storica. Su questo aspetto hanno ragione i tarantini. E’ vero che nel 2016, la sede del dirigente ha un’importanza relativa. Ed è vero che l’osservazione di quanto avviene nei dintorni di Taranto non depone a favore di questa istituzione, ma il mantenimento di tale presidio, in una città martoriata come Taranto, avrebbe avuto un valore simbolico che il Ministero non ha riconosciuto. Capisco quindi la lettura negativa da parte della città».
InchiostroVerde ha denunciato nelle scorse settimane la vicenda del parcheggio che si sta realizzando tra gli scavi archeologici in zona “Croce”, nel rione Tamburi (leggi qui). Una scelta che sacrifica la storia in virtù di altri interessi molto più “pratici”. Non sarebbe stato meglio da parte della Soprintendenza porre un vincolo per impedire la realizzazione del parcheggio in una zona così interessante dal punto di vista archeologico e magari farne un Parco?
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