Siamo sull’orlo di un baratro. Taranto potrebbe fare un balzo all’indietro di decenni. Le lancette della storia potrebbero riportarci all’anno zero di una industrializzazione selvaggia. Stiamo per ricadere in una spirale che non lascia scampo. Industria-lavoro-ambientalizzazione-perdita dei diritti. Un’operazione quella che sta avvenendo sulle nostre teste che assomiglia ad un vero e proprio piano strategico. Da un lato rassicurazioni sulle opere di bonifica e adeguamento dell’AIA, dall’altro il ricatto economico.
Nel mezzo la stanchezza di chi per anni ha creduto in un’alternativa possibile. Sono 29 le manifestazioni di interesse per un’industria sfatta e rattoppata. Non è un buon segno. Vuol dire che chi ci governa ha dato ampie rassicurazioni che a Taranto non si cambia, che il destino della città sarà solo industria e sfruttamento del territorio per chissà quanti anni ancora.
E a raffreddare gli animi di chi avversa quest’idea ci lavorano in tanti, come una piovra dai cento tentacoli con strategie di rimodellamento della coscienza collettiva: rassicurazioni sui dati ambientali che oggettivamente dicono che le emissioni sono calate dal 2012, inizio di alcune opere di bonifica, inizio di programmi di screening sanitari, erogazione di contributi alle categorie più colpite dal danno ambientale (mitilicoltori), sindacati che difendono i loro tesserati, imprenditori sopravvissuti alla crisi dell’indotto che sperano di recuperare commesse, lavoratori a cui non si offrono alternative se non la perdita del posto di lavoro, sindaci dei paesi limitrofi al Capoluogo ionico che difendono i propri concittadini che lavorano in Ilva (a proposito, dove erano i gonfaloni dei Comuni alle manifestazioni a favore dell’ambiente?)
A tutto ciò si aggiunge una estrema frammentazione di chi dovrebbe remare insieme (associazioni, movimenti) per difendere la città da questa operazione di restaurazione economica. Taranto ha il dovere di resistere a tutto ciò, per tante ragioni. Alcune sono ragioni ideologiche che portano, per esempio, a pensare che alcuni diritti collettivi quali la tutela della salute e dell’ambiente siano prioritari sulle ragioni di interesse nazionale. Altre ragioni sono legate ad aspetti reali, pratici. E’ noto che la riduzione di emissioni è essenzialmente legata alla minore produttività di questi anni. Se è vero quanto si dice, per arrivare ad un pareggio di bilancio, Ilva dovrebbe produrre non meno di 8 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, per produrre utili qualcosa in più.
Ricordo che, negli anni passati, la produzione era arrivata a oltre 12-14 milioni di tonnellate. Questo ridimensionamento produrrà esuberi di personale? Un seppur minimo aumento di produzione non provocherà aumento di emissioni? Ragioniamo poi sullo stato dell’ambiente. Il territorio tarantino è inquinato, lo è già adesso. Le caratterizzazioni di suolo e falda di tutta l’area SIN hanno evidenziato criticità, con superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di metalli e composti organici, tra cui diossine e PCB. Superamenti dei limiti anche nel territorio urbano e in particolare nel quartiere Tamburi.
Il primo seno del Mar Piccolo e l’area costiera portuale del Mar Grande risultano ugualmente inquinati, tanto da provocare lo spostamento degli allevamenti di mitili in aree diverse. Le bonifiche, oltre le apparenze di facciata, richiederebbero un impegno economico colossale e, comunque, avrebbero un senso solo se si fermassero le fonti inquinanti. Sul versante sanitario, diamo atto a ASL, Regione, che qualcosa si sta facendo in tema di screening e monitoraggio del rischio. Malgrado le riduzioni di emissioni inquinanti, i vari aggiornamenti dello studio SENTIERI e altre indagini epidemiologiche ci dicono che a Taranto vi è una incidenza superiore alle aspettative per alcune patologie tumorali, cardiovascolari e respiratorie.
Di questo ne tiene conto chi decide le politiche economiche di un territorio? Quali le strategie di resistenza civica che si potrebbero mettere in atto? Unione di chi propone uno sviluppo alternativo, prima di tutto, vincendo personalismi e vincoli di bandiera e creazione di un fronte civico unico, alternativo a chi ha amministrato male un territorio piegandosi alla ragion di stato. Bisogna promuovere soprattutto tra i giovani la conoscenza delle problematiche ambientali e non solo, coinvolgendoli nel disegnare nuovi scenari ed opportunità. Non bisogna scoraggiarsi, inoltre, se le prospettive di cambiamento trovano tanta opposizione. Taranto deve recuperare autostima, deve credere ad un futuro diverso, deve nuovamente svegliarsi. Siamo sull’orlo di un baratro.
Giuseppe Aralla
Foto di Marco Serracca
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