Taranto e la sindrome di Cotard

TARANTO – Nel mondo ci sono pochissime persone che soffrono della sindrome di Cotard. È una malattia psichiatrica molto rara, descritta per la prima volta a Parigi nel 1880, che porta, chi ne soffre, alla convinzione di essere morto, o di avere delle parti del corpo mancanti: il cuore, i polmoni, lo stomaco. Per questo è detta anche la sindrome dei morti che camminano. Non erano mai stati segnalati, fino a questo momento, casi di città colpite da questa sindrome, ma c’è sempre una prima volta.

Taranto, infatti, sembra essere colpita da questa malattia che ha avuto addirittura una evoluzione, portando la città a perdere davvero parti di essa: istituzioni, enti, diritti. La sindrome purtroppo, come descritto da autorevoli neurologi nei trattati di psichiatria, rende, chi ne soffre, sempre meno reattivo. Ogni volta che si perde un organo, l’individuo diventa più debole, meno vitale e sempre più convinto di essere un morto. La sindrome ha colpito Taranto negli ultimi decenni, in maniera subdola, lenta.

Il cervello della città, le istituzioni, si sono ammalate senza rendersene conto. Hanno perso pezzi rendendo la comunità meno reattiva, sempre più silenziosa, debole, affetta da un fatalismo tipico di chi sta per morire, di chi non vede più speranza. Negli anni Taranto ha perso parte della popolazione, una decrescita demografica provocata da migliaia di giovani che sono andati via, che, dopo aver studiato in università lontane, non sono più tornati. Si, perché, per studiare, tanti ragazzi devono trasferirsi poiché l’università a Taranto offre pochi corsi e dipende completamente da Bari.

Ma Taranto non se accorge, non reagisce. È tipico della sindrome di Cotard. Taranto perde i trasporti, sempre meno treni, niente aerei, niente porto turistico. In altre città questo avrebbe portato proteste, scioperi, barricate. Qui no, la sindrome non lo prevede. In verità qualcuno protesta, è vero, ma sono pochi cittadini, paragonabili a poche cellule neuronali che agiscono quasi per un riflesso incondizionato in un organismo malato. Ma gli esempi non finiscono qui, sono tanti. Si perde la sede della Banca d’Italia, si perdono posti negli ospedali che chiudono, si perdono posti di lavoro, si riducono le attività economiche, si assiste alla chiusura di tanti negozi.

Si perdono diritti giuridici con i tanti decreti salva Ilva, si perdono diritti per la salute, per la salubrità dell’ambiente in cui si vive. Si perdono spazi a disposizione dei cittadini, in una città stretta tra area industriale e Marina Militare (si aspetta ancora che quest’ultima abbandoni la base in Mar Piccolo). Si perde la Soprintendenza ai beni archeologici e qui, ad essere sinceri, una reazione c’è stata e vedremo se sarà un buon segno di miglioramento generale. Insomma, il caso è grave e richiede terapie adeguate. Sedute di psicoterapia, analisi, crescita dell’autostima per una città che perde pezzi. In letteratura sono segnalate guarigioni, seppur lente e difficili e questo ci fa ben sperare. La guarigione passa, in questo caso, per la consapevolezza del male e necessita di misure adeguate di cambiamento, e sottolineo CAMBIAMENTO.

Giuseppe Aralla, biologo

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