La parziale ridistribuzione delle ricchezze diventava una esigenza non più procrastinabile. D’altro canto, la DC, prima delle elezioni del ’48, aveva promesso maggiore equità, secondo i principi della Romana Chiesa. E fu una rivoluzione sociale vera e propria quella che avvenne nell’agro di Palagiano agli inizi degli anni ’50. Fino ad allora, l’80% dei circa 4.000 abitanti del piccolo borgo viveva lavorando terre non proprie, ma appartenenti a veri e propri latifondi. In qualche caso, i più fortunati, stipulavano contratti di mezzadria o affitto con i proprietari, la maggior parte, invece, erano braccianti a giornata. Questi ultimi vivevano in una situazione di estrema povertà e sfruttamento.
Palagiano era allora un piccolo borgo in cui mancavano persino i servizi essenziali: le strade erano per lo più non pavimentate, mancava la rete idrica e fognaria, pochissimi negozi. Due mulini, una chiesa, una scuola e un ufficio comunale in affitto erano i riferimenti urbani nel paese. Uno dei primi atti del Governo De Gasperi fu la presentazione del piano di riforma agraria. In Puglia, nel ’50, fu istituito, a Bari, l’Ente Riforma Agraria e si cominciò con l’esproprio delle terre ai latifondisti. In una prima fase, Palagiano fu esclusa dal piano, anche a causa di alcuni tentativi del Principe di ostacolare tale progetto.
Grazie agli esponenti locali della DC e in particolare all’allora sindaco Nunzio Scalera, anche il latifondo di Palagiano fu espropriato e si dette il via alle operazioni di parziale bonifica, suddivisione in lotti e distribuzione delle terre. Così 450 famiglie divennero “proprietarie terriere” di appezzamenti di grandezza variabile dai 3 ai 5 ettari. Furono stilate delle graduatorie di assegnazione in base al numero di componenti per nucleo familiare e finalmente, tra il ’54 e il ’56, tutti poterono, con grande emozione, prendere possesso delle terre assegnate.
Ogni lotto aveva la sua bella casa colonica: una piccola abitazione, minimale nella struttura architettonica, ma decisamente più accogliente dei tuguri in cui spesso avevano vissuto i braccianti negli anni precedenti. Un aratro, attrezzi agricoli, qualche animale (un cavallo, una mucca, oche, galline), sementi e tanto coraggio furono gli strumenti a disposizione dei nuovi imprenditori agricoli. Purtroppo, alcuni di essi (quasi 60) non ce la fecero ad affrontare la nuova impresa e tornarono al lavoro di braccianti.
Era un cambiamento radicale quello che la nuova condizione portava. Dall’essere abituati alla chiama mattutina -TU, TU E TU – del padrone, al dover organizzare una proprietà (in verità tutti pagavano un canone di riscatto) come piccoli imprenditori, un impegno per alcuni troppo difficile. Contratti da firmare, gestione dei rapporti col Consorzio Agrario, tutte nuove responsabilità a cui ci si doveva abituare. A Conca d’Oro, una antica masseria a qualche Km dal paese, era intanto nato il Consorzio Agrario. Qui si sviluppò l’idea, più socialista che democristiana, di gestione comune delle terre.
Col passare del tempo, anche il tipo di agricoltura cambiò. Si puntò alla produzione di agrumi che rendevano meglio con minore impegno rispetto alle colture intensive. Complessivamente, un progetto ben riuscito quello della Riforma Agraria. Una rivoluzione sociale che portò miglioramenti nella vita di tanti e che assicurò benessere per diverso tempo. Poi, a partire dagli anni ’80, arrivarono le importazioni da altri mercati di agrumi che portarono ad un crollo dei prezzi di questi prodotti, fino ad arrivare, in qualche stagione, a non rendere conveniente neanche la raccolta.
In parte la crisi si attenuò con l’introduzione del clementino che rappresenta tuttora un’eccellenza della produzione agrumicola di Palagiano. In generale, la crisi dell’agricoltura cambiò nuovamente l’economia della comunità. Globalizzazione, apertura delle frontiere, costi della manodopera spinsero tanti proprietari di seconda generazione ad abbandonare le campagne. In quegli anni l’Ilva raddoppiava la produzione e il richiamo verso il posto fisso era una tentazione spesso irresistibile. Tanti, difficile sapere esattamente quanti, si riconvertirono da contadini ad operai. Sembrò ai più un ulteriore riscatto sociale. Sarà stato proprio vero? Chissà e, comunque, questa è un’altra storia…
Giuseppe Aralla, biologo
Fonti: Racconti di assegnatari di case coloniche; Nunzio Scalera & Palagiano di Cosimo Rodia ed. Artebaria.
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