L’atto del bere è quanto di più naturale e abitudinario possa esservi, al pari e più del mangiare. Sfortunatamente il consumo di bevande non sempre è accompagnato dalla consapevolezza di cosa realmente stiamo introducendo nell’organismo. Dopo aver pubblicato la settimana scorsa la prima parte dell’articolo (leggi qui), passiamo alla seconda parte per vedere insieme cosa si nasconde dietro il consumo delle più comuni bevande tra pregiudizi, miti e credenze!
L’etanolo, infatti, può essere tossico non solo per fegato, ma anche per sistema nervoso centrale. Può provocare malassorbimento vitaminico portando a malnutrizione, può dare dipendenza, può essere causa di tumori e, consumato in giovane età, determinare implicazioni anche in ambito psico-sociale e sullo sviluppo cognitivo ed emotivo. In ogni caso la certezza che un determinato vino possegga proprietà benefiche è tutta da appurare mediante scrupolosi controlli sulle uve: per citare giusto un esempio, quante viti vengono coltivate a ridosso delle autostrade, “respirando” i gas di scarico dei veicoli circolanti? Quindi è improprio che il vino sia presentato come una sorta di medicina: limitiamoci a considerarlo un complemento piacevole della tavola, da trattare con parsimonia. Ricordiamo che la fonte elettiva di antiossidanti restano vegetali freschi di stagione e frutta fresca e secca.
Accenniamo, infine, alla sconvenienza dell’ introdurre vino da parte di chi ha problemi di sovrappeso. Con esso introduciamo, infatti, calorie extra perché l’alcol possiede 7 Kcal a grammo. Conviene bere alcol per poi doversi limitare nei confronti di pietanze che magari dispongono di pregio nutrizionale? Un bicchiere piccolo di vino di media gradazione alcolica, fornisce 84 Kcal, corrispondenti, caloricamente parlando, per intenderci, a 30 g di pane.
Veniamo alle bibite zuccherate (cola, aranciata). Da studi pubblicati su una rivista scientifica di notevole impact factor, il New England Journal of Medicine, l’aumento del consumo di bevande zuccherate tra adulti e bambini negli Stati Uniti e in altri paesi è considerato un possibile contributo alla pandemia di obesità. Purtroppo l’Europa non è un mistero che si stia assimilando agli USA dal punto di vista delle malsane abitudini alimentari e per l’aumento esponenziale dell’obesità nella popolazione generale. Risulta infatti ormai diffuso un largo consumo di bibite gassate e zuccherate da parte di adulti e piccini.
Una lattina di coca cola, pepsi e simili, apporta ben 139 Kcal, tutte derivanti da zuccheri semplici che, introdotti in eccesso, è noto contribuiscano allo sviluppo di grasso corporeo che si concentra maggiormente a livello addominale, primum movens dello sviluppo di malattie metaboliche, in primis del diabete. Potremmo risparmiarci quei 139 Kcal mangiando, ad esempio, 50 g di pane in più (per l’appunto contenente le stesse calorie di una lattina di coca cola). Ricordiamo, inoltre, che tali bibite possiedono un alto contenuto di caffeina e un pH acido. Abusarne, è conseguenza di sintomi di natura nervosa (tachicardia, iperstimolazione, diarrea), compromissione dell’assorbimento di vitamine e sali minerali a livello intestinale, acidità gastrica e quindi gastrite, eruttazioni, reflusso gastro-esofageo (altro che” la Coca Cola fa digerire!”).
Peraltro, qualora si pensi che le calorie assunte con le bibite gassate comuni potrebbero essere risparmiate ricorrendo alle analoghe in versione “light”, c’è da sapere che ricercatori hanno rilevato un’associazione diretta tra il consumo intenso di queste bevande e specifici fattori associati alla sindrome metabolica e al diabete di tipo 2: separando chi ne beveva tutti i giorni dagli altri, i ricercatori americani hanno rilevato nei primi un aumento del 36% circa del rischio relativo di sviluppare specifiche componenti della sindrome metabolica (in particolare elevata glicemia a digiuno e circonferenza addominale superiore a 102 centimetri per gli uomini e 88 centimetri per le donne) e addirittura del 67% di sviluppare diabete di tipo 2. Probabilmente il “sapore dolce” di queste bevande innescherebbe gli stessi meccanismi ormonali che scaturiscono dall’assunzione di zuccheri. Il monito è quindi quello di limitarne l’assunzione a rare occasioni.
Errore frequente è quello di considerare i succhi di frutta come un valido sostituto della frutta fresca, nonostante le caratteristiche nutrizionali siano differenti. La frutta fresca, intera e soprattutto con la buccia (se commestibile e ben lavata) rappresenta una fonte nutrizionale veramente molto importante per l’alimentazione umana. Essa apporta quantità elevatissime di acqua, sali minerali e vitamine ; inoltre contiene fibra alimentare, importantissima per numerose funzionalità dell’organismo. Quindi il consiglio è quello di consumare frutta fresca, al massimo farne bevande in casa estraendone il succo (benché così facendo la fibra venga persa). I succhi di frutta comprati al supermercato contengono solo tracce di frutta “vera”e grosse quantità di zuccheri aggiunti. Quelli “senza zuccheri aggiunti”, invece, ne sono comunque ricchi perché contengono gli zuccheri naturalmente presenti nella frutta ma in quantità elevate e concentrate per far sì che il sapore dolce della frutta possa essere ben assaporato.
Biologa, nutrizionista
Libero professionista
Taranto
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