Ilva, De Marzo: caro Marescotti ti scrivo…

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Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta a firma dell’ingegner Biagio De Marzo, in passato presidente dell’associazione ambientalista AltaMarea, che ha come destinatario il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti. Una lettera “pepata” soprattutto nel passaggio dedicato al ruolo di un referente di Peacelink a Bruxelles (Antonia Battaglia).

de-marzo-e1329078043620-195x300Egregio presidente di Peacelink, mi imbarazza non poco aprire così questa lettera aperta, dopo le migliaia di “Carissimo Alessandro” e “Carissimo Gino” di un’altra vita, quando condividevamo lucidamente il sogno di far diventare l’Ilva, quella fabbrica “monstre”, rispettosa della vita e del benessere dei tarantini e degli stessi suoi lavoratori. Per anni insieme abbiamo coordinato la battaglia sanitaria, ecologica, civica e sociale sull’Ilva, fino a presentare al ministero dell’ambiente, come Altamarea, un piano di risanamento che l’azienda avrebbe potuto realizzare nei 5 anni di valenza dell’AIA.

Dopo aspri dibattiti ci fu, in prossimità dell’arrivo, il definitivo voltafaccia di Vendola, Stefàno e Miccoli che credevamo di avere aggregato alla nostra causa. Reagimmo all’improvvido rilascio dell’AIA all’Ilva e decidemmo la “svolta di Altamarea”: puntare a conquistare direttamente quel potere decisionale che ci avrebbe consentito di ottenere per Taranto e per la stessa Ilva quello che non eravamo riusciti ad ottenere da semplici cittadini presenti, in qualità di “pubblico interessato”, nel procedimento amministrativo dell’AIA.

Il fallimento della “presa del Comune di Taranto”

Il tentativo della “presa del Comune di Taranto”, purtroppo, fallì soprattutto per la vena un po’ anarchica e parecchio individualista che caratterizza il mondo del volontariato e dell’associazionismo tarantino. Tu avevi abbracciato il passionale ma sterile populismo dei “duri e puri” trascinando il generoso Bonelli nell’isolazionismo che conservò al movimento il brand di “duri e puri” ma lasciandolo del tutto marginale e di sola testimonianza. Sul piano personale non ti perdonai per non avere speso una parola per difendermi dall’indecente fuoco amico. Da allora ci siamo ignorati rimanendo, nell’intimo, reciprocamente rispettosi.

Tu hai continuato con coerenza e tenacia nella tua battaglia per la chiusura totale di Ilva, secondo me molto ideologica oltre che utopistica nelle contromisure per ovviare alle sue disastrose conseguenze. Io, da irriducibile industrialista, ho continuato a ricercare una difficilissima soluzione tecnico-impiantistica capace di salvaguardare la salute e il lavoro, tenendo in vita, cioè, una grande azienda, alla stregua di un bene comune, capace di ridiventare polo di sviluppo economico e di crescita culturale di un territorio ridotto “ai piedi di Cristo”, in tutto e per tutto.

Per l’Ilva di Taranto è in corso una guerra europea

Nel frattempo, mentre il lavoro della Magistratura prosegue con i propri tempi, la situazione dell’Ilva si è ulteriormente aggravata tanto da far temere l’esplosione dell’emergenza sociale oggettivamente conseguente alla chiusura totale dello stabilimento. E a Genova ce ne sono già i prodromi. D’altra parte, non si può ignorare che sull’Ilva di Taranto, ormai, è in atto una guerra europea. Da una parte c’è l’Italia, ora rappresentata dal governo Renzi, che vuole tenere in vita a tutti i costi il Siderurgico di Taranto perché terrorizzato, giustamente, dall’idea di perdere alcune decine di migliaia di posti di lavoro ed anche consapevole che, chiusa l’Ilva, Taranto diventerebbe una Bagnoli moltiplicata per dieci, altro che Pittsburgh o Bilbao.

Dall’altra parte ci sono potenti lobbisti tedeschi e francesi che vogliono far chiudere l’Ilva di Taranto per eliminare un concorrente e risolvere il problema dell’eccesso di capacità produttiva europea di acciaio. In questo frangente, faccio veramente fatica a fare buon viso di fronte a italiani e tarantini che, certamente in buona fede e senza rendersene conto, di fatto favoriscono gli avversari dell’Italia e della comunità tarantina sulla quale ricadrebbero principalmente le conseguenze della chiusura dello stabilimento Ilva. E mi addolora che tra questi italiani e tarantini ci sia anche tu. A tal proposito, absit iniuria verbis, ti suggerisco di ….  richiamare per consultazioni “l’ambasciatrice di Peacelink a Bruxelles”: potrà essere anche l’occasione per smentire il chiacchiericcio che si fa, complice Internet, sui suoi trascorsi politici in seno al PD lussemburghese, sul suo temporaneo inserimento nella Rappresentanza permanente del Lussemburgo presso il Consiglio d’Europa, sui suoi legami parentali con importanti personaggi pubblici lussemburghesi ben introdotti nelle istituzioni europee, con qualcuno che spara a zero contro la siderurgia italiana e difende a spada tratta quella del proprio Paese. Per carità, tutte cose legittime e rispettabili, che però stridono un po’ con l’immagine, data alla stampa, di una semplice mamma di tre figli che per parlare a Bruxelles del caso Ilva cerca i numeri telefonici su Internet. E poi, scusa, che fine ha fatto l’ostracismo dei “duri e puri” nei confronti di chiunque avesse avuto trascorsi politici e partitici?

Necessita un “armistizio non dichiarato” con “paletti” per l’acquirente

Tornando a cose più importanti, dopo tre anni di tentennamenti ed indecisioni, che hanno complicato ulteriormente la già grave situazione, si impongono decisioni difficili che presuppongono comunque una sorta di “armistizio non dichiarato” che sottintenda anche l’accettazione che per qualche tempo ci siano ancora danni sanitari. Tale “armistizio non dichiarato” consentirebbe di attivare strategie operative immediate, reperire le risorse necessarie, far ripartire gli impianti e redigere e realizzare, in tempi ragionevoli, il progetto di una “Nuova Ilva” che operi nel mercato globale. L’invito a “manifestare interesse per l’Ilva”, reso pubblico il 5 gennaio 2016, traccia il percorso per arrivare a vendere (o affittare) l’Ilva entro il 30 giugno 2016. E’ un’enorme scommessa, di grandissimo interesse per i lavoratori Ilva e per la comunità tarantina, soprattutto su di essi graverebbero le conseguenze di un risultato fallimentare del procedimento ora avviato. E’ iniziata, così, per l’Ilva e per Taranto “l’ultima partita, disperata, garibaldina e temeraria, ma l’unica che possiamo sognare in alternativa alla tragedia che incombe”. La comunità tarantina non può rimanere spettatrice passiva, è in gioco gran parte del suo destino. In situazioni di emergenza contano la volontà, il coraggio, la lucidità e la capacità di intuire i passi giusti da fare immediatamente, altrimenti “l’intervento è perfettamente riuscito, purtroppo il paziente è morto”. Noi tarantini dobbiamo riuscire a far mettere “paletti” per chi acquista, per evitare successive chiusure ineluttabili ed impedire trucchi di qualsiasi natura; “paletti” che diverranno prerequisiti per il progetto della “Nuova Ilva”, quello che farà ridiventare il Siderurgico polo di sviluppo economico e di crescita culturale dell’intero territorio, come un bene comune: gli acciai e i tubi dell’Italsider erano vanto ed emblema di Taranto nel mondo, come “la millenaria civiltà magno-greca”, come “I due mari”, come “Il ponte girevole”.

La scommessa non è impossibile. A differenza del 2007, quando, come “pubblico interessato”, entrammo nel procedimento per il rilascio dell’AIA all’Ilva di Taranto, oggi, nello specifico quadro normativo italiano, c’è la Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario – VIIAS. Utilizzarla adeguatamente deve diventare il primo, determinante “paletto” per l’acquirente. Fatta a preventivo, sull’assetto impiantistico/produttivo della “Nuova Ilva”, la VIIAS fornirà elementi, segnatamente i limiti del rischio sanitario residuo, che consentiranno di rispondere positivamente alle attese della Magistratura che ha sequestrato gli impianti che provocano gravi danni sanitari alle persone ed ha imposto di eliminare l’inquinamento delittuoso.

Attualmente i provvedimenti tecnici e gestionali stabiliti sono quelli dell’AIA del 16 ottobre 2012, migliorata rispetto a quella originale ma comunque piena di lacune ed omissioni e neanche completamente integrata con il “piano ambientale” approvato dal precedente Governo ancorchè privo del corrispondente piano industriale. Se tali provvedimenti fossero realizzati e risultassero insufficienti o inefficaci rispetto alle disposizioni della Magistratura, occorrerebbe fare altro. Ritengo che non si possa continuare a considerare quell’AIA intoccabile nei contenuti e nei tempi, col rischio di sprecare risorse senza risolvere il problema del danno sanitario residuo. Con la VIIAS, lo strumento più importante da utilizzare per evitare che impianti industriali provochino danni ambientali e sanitari, le Istituzioni sono oggi più attrezzate per evitare quel rischio. Sottoporre a VIIAS preventivamente l’ipotesi di assetto industriale della “Nuova Ilva” deve essere, lo ripeto, il primo, determinante “paletto” per l’acquirente.

Chiudere positivamente la vicenda Ilva.

La comunità tarantina, con spirito unitario, dovrebbe spingere fortemente per risolvere la vicenda Ilva e dovrebbe sostenere il Governo, riconoscendo che esso è nella necessità di neutralizzare l’emergenza sociale, a Taranto sempre più vicina, e di estinguere i focolai di patologie mortali e non, indicati nelle perizie dell’incidente probatorio. Alla Magistratura compete far rispettare la legge, al di là anche di eventuali conseguenze sociali, e non può accettare compromessi al ribasso. Male hanno fatto le Istituzioni che non hanno colto per tempo i segnali (e i documenti scritti) pervenuti dalla Magistratura e dal “pubblico interessato”. Adesso sta alle Istituzioni, alla Politica, alle Forze Sociali e alle Comunità Locali, dare corpo a una soluzione equa, realistica, pulita e trasparente, facendo in modo che la Magistratura non sia costretta a mettersi di traverso. E’ il momento, egregio presidente, carissimo Alessandro, che partecipi anche tu all’ ”armistizio non dichiarato”, per il bene dei tarantini e dei lavoratori dell’Ilva, che interrompa le pressanti comunicazioni alle istituzioni europee che di fatto “forniscono munizioni ai nemici dell’Italia”. A tal proposito, sorrido ricordando che proprio qualche giorno fa, ho apprezzato mio figlio che con paziente delicatezza ha spiegato alla mia carissima nipotina milanese che “tra compagne non è bello fare la spia”.

 

 

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