1) non riesce a trovare nessuno disposto ad accollarsi le perdite dell’ILVA: vendere ILVA è come vendere debiti a getto continuo;
2) gli impianti non sono stati messi a norma e la Commissione Europea ha avviato una doppia procedura di infrazione;
3) la crisi internazionale dell’acciaio rende l’ILVA una fabbrica che produce ogni anno perdite superiori all’ammontare complessivo degli stipendi dei suoi lavoratori;
4) la Commissione Europea ha avvertito il governo italiano che gli aiuti di Stato all’ILVA non sono consentiti perché falsano la concorrenza le altre acciaierie che non ricevono aiuti di Stato;
5) la magistratura mantiene sotto sequestro gli impianti perché ritenuti pericolosi ed essi potevano continuare a produrre – come ha stabilito la Corte Costituzionale – solo alla condizione che gli interventi di messa a norma fossero tempestivi.
Di fronte a questi cinque formidabili problemi, il governo – con un emendamento al nono decreto ILVA – pensa di uscire fuori dal pantano con due mosse disperate:
A) concedere un ulteriore finanziamento statale di 800 milioni di euro all’azienda (che ha tre miliardi di debiti);
B) spostare al 30 giugno 2017 la messa a norma degli impianti.
Se – come noi NON crediamo – quegli ottocento milioni di euro dovessero servire, a detta del governo, «al fine esclusivo dell’attuazione e della realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitarie», come verrebbe risolto il problema dei debiti che ILVA continua ad accumulare per la crisi del mercato internazionale dell’acciaio? E come potrà giustificare lo spostamento al 30 giugno 2017 della messa a norma degli impianti se essi dovevano essere messi a norma entro il 2015? Si crea un conflitto insanabile sia con la sentenza della Corte Costituzionale (che non concedeva proroghe alla messa a norma degli impianti) sia con la Commissione Europea (che non consente aiuti di Stato).
L’ultima mossa del governo di concedere finanziamenti e proroghe è quindi una mossa disperata e sconclusionata, destinata a scontrasi con le norme nazionali ed europee che non la consentono. Ma è destinata a scontrasi con il più elementare buon senso, in quanto si sta finanziando un’azienda che è decotta e fallita, che non ha futuro e che nessuno vuole prendersi, al di là delle cordate di facciata cheavranno vita breve.
Guai a “credere” troppo in una società decotta. Se l’azienda è impantanata in una situazione di crisi grave e irreversibile è grave perseverare in un’attività improduttiva, anziché chiuderne i battenti. A queste conclusioni era giunta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32899 del 26 agosto 2011. Ci sono domande a cui nessuno fino a ora ha saputo rispondere e crediamo che neppure in futuro qualcuno avrà soluzioni intasca. Proviamo a sintetizzarle in otto domande.
Il governo non sa rispondere a queste otto domande. Il governo Renzi sta pasticciando con improvvisazioni di ogni tipo. Alla fine la soluzione sarà inevitabilmente quella di scaricare i debiti dell’ILVA sugli italiani, con tasse sui contribuenti e mancati pagamenti di fornitori e creditori. PeaceLink agirà a Bruxelles per fermare questa nuova disperata mossa del Governo per guadagnare tempo con un’azienda decotta e inquinante. Al contempo si impegnerà perché a livello regionale venga realizzata una commissione per la riconversione dell’ILVA con un piano B che sfrutti i finanziamenti europei per le aree di crisi industriale.
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