Lei, brunetta, con capelli lunghi, lisci e lucidi, stringeva con la sua mano destra quella del compagno ma con la sinistra era impegnata in una lunga conversazione via chat con qualcuno che probabilmente la stava anche infastidendo: lo si notava dal tocco nervoso, brusco e veloce con cui digitava le frasi. Ma il suo essere irritata, forse era anche dovuto al fatto che il suo interlocutore oltre lo schermo, da chissà dove, pressandola con i messaggi, le stava impedendo di seguire in modo regolare il film che scorreva con audio in cuffia su un tablet bianco poggiato sulle sue ginocchia.
Lui, biondino, capelli radi e barbetta appena accennata, affondava la sua mano sinistra nella mano della sua amata ma con la destra scorreva con attenzione e lentamente i post sulla sua pagina facebook. Solo di tanto in tanto i due si concedevano una velocissima pausa: un breve bacio accompagnato da un sorrisino appena accennato. Quasi come un andare in cucina a bere un sorso d’acqua dopo essere stati troppo a lungo su dei libri a studiare, o un prendere una boccata d’aria fresca prima di riprendere un’attività intellettualmente impegnativa. Ecco, mi è sembrato davvero troppo.
E mi sono chiesta: non sarà che questo nostro fingere di essere super connessi con cento, trecento, mille amici inesistenti ci sta facendo perdere la possibilità di essere realmente connessi? Immaginando di essere in grado di dialogare, non ci accorgiamo che non sappiamo più nemmeno cosa può voler dire comunicare, cosa può voler dire capire e farsi capire. Avere qualcuno in carne e ossa di fronte a noi ci sconvolge ormai, ci mette a disagio. Chi sarà mai costui che ci guarda? Sarà in grado di leggere anche i nostri messaggi non verbali? Comprenderà cosa diciamo o pensiamo? Come ci si comporta con un essere umano che non è uno schermo luminoso che filtra parole ed emozioni? È questo che si vuole da noi? Tutti falsamente uniti. In realtà tutti distanti e sconosciuti, pronti a farci la guerra, ad essere gli uni contro gli altri perché parliamo un linguaggio che non ci è più conosciuto.
Dunque, forse sarebbe il caso di far scoprire ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai nostri alunni, ma anche ricordare a noi stessi, che esiste un social network stupendo che si chiama piazza, bar, circolo, associazione, gruppo dove si possono creare molti contatti, dove il “mi piace” non è un pollice puntato verso l’alto ma un sorriso formulato da labbra vere che si aprono e si sollevano lungo le guance, dove le emozioni possono essere trasmesse attraverso baci, lacrime, voce, movenze del corpo e carezze, dove un amico è qualcuno che corre anche in tuo aiuto se lo vuoi, perché è proprio lì vicino a te e può tenderti una mano e non solo lanciarti un adesivo fumettistico da qualche parte sperduta del mondo. È un amico che non ti eliminerà mai con un clik perché fai parte realmente del suo mondo e lui del tuo. Ed è proprio a partire dal grande valore del contatto umano che allora anche i contatti virtuali diventano una risorsa preziosa, sia per la vita personale che professionale. Manteniamo tutto così com’è, ricordandoci solo un po’ più spesso che abbiamo bisogno di occhi in cui specchiarci, di braccia tra le quali affondare, di spalle e di pelle su cui poggiarci, di sorrisi e di parole urlate e sussurrate, alle quali non possiamo rinunciare.
A cura di Elisa Albano
Psicologa – Scrittrice
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