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Vita da Speleologo – Cronaca di un Capodanno speciale

TARANTO – Attorno a una tavola bandita a festa, decine di speleologi del Gruppo di Martina Franca celebrano il Capodanno 2016. Alla mezzanotte presunta, non ci sono televisori e dunque il passaggio dal nuovo al vecchio anno viene semplicemente stimato come altrui conti alla rovescia televisivi, gli occasionali abitanti delle grotte si abbracciano e si baciano augurandosi il meglio, sopra e sotto la crosta terrestre.

Poi è tempo di esercitarsi con qualche modesto gioco pirotecnico per non farsi mancare proprio nulla. Pochi minuti dopo, tra le mani viene sballottato un povero mazzo di carte napoletane, prelevato dal suo guscio di cartone per allietare le prime ore del nuovo arrivato. Uno sguardo all’orologio per capire che tre ore del 2016 se ne sono andate e che sarebbe il momento di andare a letto. Meglio nel sacco a pelo. Comodissimo, ma non troppo. Ci sono anche un materassino e un cuscino su cui lasciare andare le membra per addormentarsi. Sono le uniche ricchezze consentite nella fredda sede di Sant’Angelo a Fasanella, un piccolo centro di neanche 700 abitanti in provincia di Salerno, distante una manciata di chilometri dal Vallo di Diana in Cilento.


La vita in superficie, per chi solitamente vive nelle viscere della Terra la sua… viscerale passione per le grotte, assomiglia tantissimo a quella di milioni di cittadini del nostro difficilissimo mondo. Non potrebbe essere diversamente: le tensioni accumulate nelle spedizioni sottorranee trovano libero e giustificato sfogo in ordinarie manifestazioni di affetto e giubilo. 
Il primo giorno dell’anno è festa, ma non per tutti. Si organizza una passeggiata, ma non sono quattro passi fatti per digerire: quando si è in trasferta ogni occasione è buona per esplorare il territorio a caccia di grotte, dove un tempo i cavalieri dell’evo di mezzo, pensavano di trovare chissà quali draghi o animali fantastici.

Il bosco, quello sì, è fatato e in mezzo alla magia che esala dalle caduche foglie autunnali e dagli spogli alberi privati del loro manto più prezioso, si va alla scoperta di nuovi pertugi degli inferi. Ora una collina, ora un fiume ghiacciato, ora un po’ di fango su cui distrattamente affondare e sporcarsi, ora un cinghiale che di gran lena cerca di fuggire dal gruppo di invasori. Speleologi e indigeno quadrupede sono dirimpettai nella stessa vallata, gli uni scendono, l’altro sale. Il suide li vede, si ferma un attimo, poi riprende la sua folle corsa per uscire dai loro radar. Pochi secondi e il gioco è fatto. Si rimane attoniti, è sempre piacevole fare nuove conoscenze. La caccia è finita. Il buio incombe sul gruppo ed è ora di tornare a casa a mangiare, dopo quattro ore di passeggiata, e di scambiarsi impressioni e opinioni. “Forse sarebbe meglio farlo in un pub”. L’idea lanciata nel mezzo della discussione come un amo nel mare produce una pesca miracolosa: giacca addosso e via a divertirsi. Tra una pizza e un panuozzo si decide, il giorno dopo, di procedere divisi: un gruppo dovrà continuare l’esplorazione, un altro scenderà in una grotta nelle vicinanze.

La mattina successiva, una lauta colazione aspetta il gruppo pronto a dare battaglia alle sue passioni. Zaino in spalla con dentro l’attrezzatura ed ecco che i martinesi si riportano nel bosco, questa volta in direzione di Corleto, un altro piccolo paese a pochi chilometri da Sant’angelo. Dal cielo piovono fredde lacrime. Bisogna coprirsi e un cappuccio svolge bene il suo lavoro. Il gruppo dei perlustratori accompagna i colleghi che godranno della bellezza del buio di grotta del Falco, scoperta negli anni Sessanta, ma effettivamente scavata ed esplorata solo negli anni Ottanta.

L’attrezzatura ha trovato posto nell’imbrago. Discensore, pedale, mallo, freno, sì c’è tutto. Un meccanico sospiro muove la brigata in tuta rossa verso il loro obiettivo di giornata. Prima di sparire alla vista il gruppo scivola dolcemente all’interno su un tappeto di foglie ingiallite. Percorsi una cinquantina di metri l’ultimo dei tre si volta. Non ci sono porte da chiudere: un saluto e la promessa di rivedersi a pomeriggio inoltrata separano momentaneamente gli amici e colleghi di sempre.

L’ingresso della grotta è oramai alle spalle, l’obiettivo è cercarne altre. Non è facile. S’individua una strada, una di quelle probabilmente create dai taglialegna per farsi largo nel bosco. La testa ruota facilmente alla ricerca di screen shot da incollare sulle pagine bianche della memoria. Ci sono enormi costoni, che ti invitano a fare la loro conoscenza. La tentazione è forte, non si può resistere e gli speleologi martinesi li raggiungono. Lasciare la strada sicura non è incoscienza, ma è una necessità per sentire, e fare propri, posti nuovi. Bisogna approfittarne ora che è inverno.

Ora che è possibile, perché gli alberi sono privi di foglie, vedere e memorizzare i contorni delle collinette disegnati a matita e colorati con pastelli invernali da Madre Natura. Tutto sembra essere stato creato senza alcuna differenza, invece, ce ne sono, impercettibili, invisibili, spettrali, ma ci sono. Sembra di rivivere il film Blair witch project.Come nella finzione cinematografica non si vede nulla, ma si sente tutto. Innanzitutto il profondo rispetto per un ambiente incontaminato. Si decide di porre fine alla caccia. Non sempre può andare bene, ma la sensazione è che in futuro se ne vedranno delle belle.

La giornata è trascorsa via come se nulla fosse. Si ritorna a Sant’angelo, ma prima si dà un rapido saluto ad altri colleghi presenti sulle colline per effettuare altre ricerche. Sono le ultime ore della trasferta campana. Si aspetta solo che rientrino gli altri per poi sedersi a tavola e discutere in piena libertà come sempre. Dalla giornata, che si riveli proficua o meno, potrebbero dipendere le prossime uscite in Cilento. Eccoli, gli altri. Stanchi, ma felici. Forse oggi un po’ meno. Un componente della pattuglia è scivolato, ha battuto la guancia contro una roccia e si è tagliato. La ferita è aperta e una buona medicazione è necessaria. Fare lo speleologo non è un gioco: chiunque voglia avvicinarsi alla materia deve sapere che è una cosa seria, che non ammette distrazioni. L’esperienza e la bravura non bastano per eliminare ogni tipo di pericolo. La ferita è suturata e guarirà. La voglia di tornare in grotta, il prima possibile, no.

Giuseppe Di Cera, scrittore e giornalista sportivo

 

 

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