Renzi compia un passo indietro, comprenda una volta per tutte che l’unica via è la chiusura di impianti vecchi e fuori mercato. È tempo di riconversione industriale e di bonifica del territorio tarantino avvelenato per decenni, dall’Italsider prima e dall’Ilva dopo. Dal pubblico come dal privato.
I rilievi dell’Ue trovano fondamento in due pilastri che il Governo italiano dribbla goffamente:
1 – Lo Stato italiano ha, finora, concesso due prestiti alla gestione dello stabilimento ILVA, rispettivamente di 250 e 400 milioni di euro con garanzia dello Stato rilasciata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in virtù delle norme stabilite dal Decreto Legge n.1 del 5 gennaio 2015, art.3 comma 1-ter, si appresta ad elargirne altri 800 milioni con la “Legge di Stabilità 2016”. Il provvedimento fissa il tetto a 800 milioni e la prima tranche elargita è finita sotto i fari UE. Secondo l’Europa sono aiuti di Stato alla vita stessa aziendale e non rivolti, come invece il Governo vuol fare intendere, all’adeguamento ‘ambientale’ degli impianti.
L’infrazione riguarda, non a caso, quanto previsto del Decreto Legge n.191 del 4 dicembre 2015, art.1 comma 3, è previsto che “Al solo scopo di accelerare il processo di trasferimento e conseguire la discontinuità di cui al comma 2, garantendo nel contempo la prosecuzione dell’attività in modo da contemperare le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’occupazione, nelle more del completamento delle procedure di trasferimento, è disposta in favore dell’amministrazione straordinaria l’erogazione della somma di 300 milioni di euro, indispensabile per fare fronte alle indilazionabili esigenze finanziarie del Gruppo ILVA in amministrazione straordinaria. L’erogazione della somma di cui al precedente periodo è disposta con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Il relativo stanziamento è iscritto sullo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico”.
Basti dare una rapida occhiata all’andamento dell’esercizio 2015 per comprendere la reale necessità di questi prestiti:
2- La gestione dello stabilimento ILVA ha avuto un andamento negativo per circa 334 milioni di euro nel 2014 e già intorno ai 250 milioni di euro nella prima parte del 2015 al ritmo di circa 50 milioni di euro al mese, per cui allo stato delle cose è tenuto in vita artificialmente da aiuti statali
ILVA ha visto crollare la sua quota di mercato dal 7% del 2012 al 5% attuale, e nessun segnale porta alla sua ripresa economica in ragione sia della concomitante crisi del mercato dell’acciaio che della conseguente sovrapproduzione globale.
Lo Stato Italiano insiste ad agire per mantenere in essere il polo siderurgico italiano, ma le Fondazioni azioniste della Cassa Depositi e Prestiti, istituzione incaricata di creare una società di turnaround per rilanciare l’ILVA, perseguono come fine quello della redditività del proprio patrimonio e con un buon margine di probabilità freneranno l’operazione, allungando di conseguenza i tempi necessari per gli interventi di bonifica necessari.
In ultima analisi, ILVA attualmente gode di innumerevoli privilegi che le consentono di operare in maniera illegittima sul mercato, utilizzando forme di aiuti di Stato sia diretti che indiretti illegittimamente elargiti per consentirle la prosecuzione delle attività nonostante sia palesemente fuoriuscita dal mercato.
Non solo. La possibilità di non sostenere i costi ambientali, relativi alla normale gestione dello stabilimento, rappresenta ulteriore condizione che la pone in una posizione di mercato di concorrenza sleale rispetto alle aziende dello stesso settore. Perché di fatto è quello che sta avvenendo: Aia prorogata di anno in anno, addirittura applicazione delegata per il 20% (parte più corposa degli interventi ritenuti necessari) all’eventuale privato e intanto aiuti finanziari per tirare avanti. Il Governo si fermi e ragioni sul futuro di Taranto. Chi inquina paga. Gli inquinati vanno risarciti. Ma in Italia sta avvenendo l’esatto contrario.
Rosa D’Amato – Eurodeputata del Movimento 5 Stelle
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