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TarantoRespira chiede un centro di ricerca ambientale

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa del movimento civico “Taranto Respira” a firma di  Giuseppe Aralla e Vittoria Orlando.

Assistiamo ormai quotidianamente ad un balletto di opinioni diverse sullo stato attuale del potenziale inquinante dell’Ilva e delle condizioni interne alla fabbrica e del territorio esterno e dell’aria che respiriamo. Da un lato c’è chi denuncia una situazione di pericolosità delle emissioni (Peacelink, ambientalisti, Verdi, Taranto Respira, movimenti civici), dall’altro c’è chi ( Ministero Ambiente, ARPA, istituzioni locali ) ci rassicura affermando che, al momento, Ilva non inquina o al massimo “inquina poco”. In mezzo ci sta la gente, i cittadini di Taranto, i lavoratori.

Tutto questo è assurdo, inconcepibile, considerando che esistono tutti i mezzi per valutare in modo assolutamente incontestabile il grado di pericolosità o meno della grande industria dell’acciaio. Misurazione degli inquinanti e studi epidemiologici: due procedure che ci possono dire esattamente come davvero stanno le cose, evitando valzer di opinioni spesso dettate da ideologie differenti. Taranto, la città del Meridione che per decenni ha sostenuto il PIL nazionale con una produzione di centinaia di milioni di tonnellate di acciaio, non è, cosa clamorosa, sede di un ente di ricerca indipendente con laboratori tecnologici adeguati a misurare il grado di inquinamento presente nei sistemi biologici e negli elementi naturali.

I Dipartimenti di Biologia Ambientale di tante università italiane, già dagli anni ’80 erano dotate di strumenti (gascromatografi, misuratori di polveri sottili, modelli di simulazioni di impatto ambientale) che venivano utilizzati per le più svariate indagini che spaziavano dalla ricerca del mercurio nei fanghi di lavorazione delle miniere della Sardegna, alla presenza di PCB negli escrementi degli uccelli della laguna di Orbetello, alla ricerca di radioattività nel Polo Nord, ecc. Solo alcuni esempi delle migliaia di studi sovvenzionati dallo Stato tramite le università e che, se in alcuni casi erano utili, in tanti altri erano solo un modo per occupare ricercatori dalla fantasia più varia che sprecavano risorse in modo discutibile.

È una colpa grave della politica nazionale e locale non aver preteso la nascita di un polo tecnologico a Taranto, una delle città più soggette al rischio ambientale. In questi mesi si parla di far nascere qualcosa di simile, enormemente grande, nella ex area EXPO, nella ricca Milano, già sede di numerosi enti di ricerca e laboratori attrezzati. Qui a Taranto, invece, la ricerca è solo una speranza. La diossina la si è trovata in un pezzetto di pecorino grazie all’iniziativa di cittadini indignati, grandi studi, approfonditi, sulla catena alimentare non sono mai stati effettuati, il livello di contaminazione dei sistemi naturali ha un carattere di vaghezza non consona alle opportunità che la scienza moderna ci mette a disposizione. Stessa cosa dicasi per l’epidemiologia. Solo grazie all’intervento della magistratura, e con la pubblicazione dello studio SENTIERI,seppure con grave ritardo,  si è avuta una vera allerta sull’incidenza di mortalità per cause legate all’inquinamento e per incidenza di patologie tumorali e respiratorie.

È mancato però un progetto di studio che per esempio valutasse in tempo reale l’accesso alle prestazioni mediche dei soggetti più vulnerabili nei giorni di maggior esposizione per cause meteorologiche (vento da Nord, pioggia, temperature basse). Una Regione Puglia che spende milioni di euro per il controllo in tempo reale delle prestazioni e delle prescrizioni mediche, potrebbe facilmente estrapolare questi dati dai sistemi informatici a sua disposizione, rendendo chiara una situazione che chiara non è. Non basta, infatti, rendere operativo il registro tumori a Taranto oppure analizzare le statistiche di mortalità per avere un quadro completo del rischio sanitario. È necessario correlare questi dati con la situazione del momento che ci descriverà con precisione come la grande industria incida sulla vita quotidiana della gente. Tutto questo la politica lo deve pretendere. È un diritto dei cittadini conoscere con esattezza cosa avviene nel proprio territorio che per troppi anni è stato “terra di nessuno”.

Tutto ciò non c’entra con argomenti quali ricatto occupazionale, crisi dei mercati, vendita di Ilva a privati, liquidità nelle casse, ma prescinde da tutto ciò, serve solo a far chiarezza uscendo dal pregiudizio precostituito. Subito, quindi, la richiesta di istituire un centro di ricerche ambientali a Taranto, indipendente e non politicizzato. Solo così l’inquinamento non sarà più un’opinione, ma un dato da analizzare e valutare per condizionare future scelte economiche ed amministrative. Usciamo, quindi, dalla vaghezza e forniamo alla città i mezzi per conoscere lo stato delle cose. Taranto Respira si renderà promotrice di questa esigenza non più rimandabile e chiede a tutti collaborazione per sostenere questa richiesta urgente.

 

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