Manipolatore? No, grazie – Come riconoscere un manipolatore affettivo e imparare a difendersene


Q
uando si sente parlare di “manipolatore affettivo”, “carnefice”, “stolker”, o “demolitore”, termine, quest’ultimo, che personalmente amo di più perché evoca in modo più immediato l’immagine di colui (o colei) che sceglie come “professione intima” quella di abbattere l’autostima altrui, la mente corre quasi sempre a qualcun’altra. Può trattarsi della collega un po’ imbranata che si è invaghita del tipo sbagliato, l’inquilina del piano di sopra, l’amica, la conoscente o la cugina che non ha mai saputo farsi rispettareDifficilmente pensiamo che potrebbe capitare anche a noi. O che addirittura potremmo noi stesse divenire tali. Ebbene sì, perché sia uomini che donne possono trasformarsi in manipolatori affettivi. Ma di certo, le modalità, come dire, operative si differenziano. Le donne generalmente giocano più su un piano psicologico, gli uomini, invece, agiscono anche su un piano pratico che molto spesso sfocia in forme di aggressività violenta, come la cronaca ormai quasi quotidianamente ci riporta.

Ma scendiamo subito su un piano pratico. Partendo dal fatto che alla base di un comportamento da “demolitore” (o “demolitrice”) vi è sempre un forte calo di autostima, dovuto ai motivi più svariati, vediamo quali sono alcuni dei primi segnali, sia nostri che dell’altro, a cui dovremmo fare sempre attenzione, perché potrebbero trasformarsi in qualcosa di più pericoloso e forse fatale. 

  1. Il  manipolatore, prima di diventare tale è innanzitutto un soccorritore (o una crocerossina). Sente il bisogno di essere sempre presente nella vita del partner, è gentile, amorevole, pronto ad intervenire ad ogni minima necessità. Ma quella che spesso scambiamo per estrema gentilezza e attenzione, in realtà potrebbe essere  solo bisogno di controllo, bisogno di rendersi utile, (anche lì dove non ce ne sarebbe bisogno) per nutrire la propria fame di approvazione. Questo tipo di comportamento se sottovalutato e rinforzato porta la cosiddetta “vittima” a perdere sempre più autonomia e il “demolitore” a invadere sempre più spazioUna relazione per dirsi sana deve poter contare su una parte di condivisione e su una parte di vita personale, che deve rimanere integra.  

  2. Quando l’attività di soccorso non è genuina, si affianca ben presto a un’attività demolitoria della sicurezza altrui. Il futuro manipolatore nel momento in cui si presta per risolvere un vero o presunto problema o necessità, diventa pronto a rilevare le inefficienze di quella che sta per diventare la sua “vittima” a tutti gli effetti.  Alcune frasi tipiche e apparentemente banali, possono essere:  “Possibile che non riesci a cavartela in una faccenda così semplice?”; “Sei sempre distratta!”, “Meno male che ci sono io, altrimenti come faresti a cavartela?”,  “Sei incapace. Hai sempre bisogno di qualcuno che ti dia una mano”

  3. Giunti a questa fase, se la futura “vittima” non è stata in grado di riprendersi rapidamente la propria dignità, l’attività demolitoria del manipolatore diventa sempre più ampia e complessa e si affianca anche a quella investigativa. Il manipolatore, sente forte l’urgenza di sapere tutto del partner (che può essere anche un amico/a, un collega, un capoufficio, un figlio, una madre, ecc. Ispeziona la sua agenda e /o il suo conto in banca,  tiene sotto controllo le sue amicizie e le sue relazioni con la parentela. Le domande insistenti e continue, possono diventare inevitabili, in questa fase. “Dove sei stata?”, Con chi ti sei vista?”, Che cosa hai fatto?”, “Cosa vuole tua madre sempre al telefono?”, “Possibile che sei sempre in giro e a parlare con qualcuno?”

  4. Per reggere la sua attività investigativa e demolitoria e mantenere un controllo efficace, il manipolatore tende ora a restringere il campo di azione di chi ha accanto. Può arrivare a vietare visite a parenti ed amici o a impedire attività di svago, come palestre, corsi di lingue, di ballo, corsa nel parco, ecc.,  “Mi lasci sempre da solo, ti sembra giusto?”, “Sei un’egoista e ingrata. Non pensi mai a me che sono qui ad aspettarti mentre tu fai i porci comodi tuoi?”, “Dovresti restare un po’ più spesso a casa. Stai sfasciando la famiglia”. I ricatti morali a questo punto sono all’ordine del giorno. E bisogna sempre tener presente che il manipolatore pur avendo una sua insicurezza psicologica di base, si trasforma realmente in tale quando nella sua vita  personale accade qualcosa che abbatte ulteriormente la sua stima personale. (es. perdita di lavoro, grossa perdita economica, ecc..) E non è raro che in questa fase s’instauri anche una qualche forma di dipendenza dall’alcool, dal gioco ecc.

  5. Siamo alle soglie ormai di una trappola affettiva vera e propria. Le cose potrebbero ancora sistemarsi con una relativa facilità se si considerassero nella giusta ottica, ma se non lo si fa accade qualcosa d’altro che fa precipitare la condizione relazionale. Il demolitore, sfiancato dalla sua stessa attività, improbabile e assurda, di gestione della vita altrui (visto che la propria è di certo ormai ingestibile) esplode in un primo, piccolo o grande che sia, episodio di violenza fisica. Quella psicologica, sente che non lo soddisfa più e quindi prova a distruggere quel po’ di dignità personale che l’altro ancora mostra (e che lui non ha più) attraverso un’azione brutale. A questo punto capita a volte che “la vittima” si rende conto che forse sta scivolando in una relazione distruttiva. Prova a ribellarsi. Dice no a tutto questo. Potrebbe ancora salvarsi. È ancora relativamente facile aprire la porta e andarsene. Ma il manipolatore, quasi sempre scaltro, sa istintivamente che non deve spingersi oltre (almeno per ora) perché altrimenti rischia di perdere la sua predaE allora si prostra ai piedi del partner e implora il suo perdono. Non accadrà mai più, giura, anche con le lacrime agli occhi. “Dammi ancora una possibilità. Sono finito senza di te. Ti prometto che cambierò. Se mi ami devi permettermi di dimostrarti che ho capito di aver sbagliato”. Pochi attimi di riflessione, di tentennamenti. La vittima può tendere la mano verso la maniglia della porta o stenderla sul capo del suo futuro carnefice e probabile assassino. Sulla bilancia, le insicurezze personali (“Dove vado senza di lui? Meglio questo straccio di relazione che il niente e il fallimento personale”)il senso di colpa (“non sopporterò di vivere sapendo di avergli fatto del male, sapendo di averlo affossato”) e il bisogno di libertà e dignità (“Non merito tutto questo”, “Ho ridotto la mia vita uno straccio”)Quale dei due piatti peserà di più? Per le donne, abituate purtroppo da sempre a non amarsi, a non rispettarsi, a non prendersi sanamente cura di sé, la risposta è semplice. Ma se si stende quella mano, se si concede ancora una possibilità, (non per “amore” ma per paure personali) nell’assurda convinzione che davvero le cose potrebbero sistemarsi, è fatta. Si è definitivamente scivolati dentro la trappola.

 Adesso, tutto diventa più difficile. Ma c’è sempre una speranza.  C’è sempre la possibilità di farcela.

A cura di Elisa Albano

Psicologa – Scrittrice

 

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